Quella strada con la sedia del diavolo

Quella strada con la sedia del diavolo
Nella Capitale il diavolo aveva una sua, chissà quanto comoda, sedia: questo era infatti il nome popolarmente dato a un rudere sulla Nomentana, poco oltre la chiesa di...

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Nella Capitale il diavolo aveva una sua, chissà quanto comoda, sedia: questo era infatti il nome popolarmente dato a un rudere sulla Nomentana, poco oltre la chiesa di Sant'Agnese, che il tempo aveva ormai scavato, e ridotto, appunto, alla forma di un gigantesco sedile, quasi un trono da vescovo. Era in aperta campagna: usato come ricovero dai contadini e dai pecorai, dai pastori e vagabondi, e dalle meretrici che con i loro fuochi, l'avevano perfino annerito più di quanto il tempo non avesse già fatto. Poi è giunto lo sviluppo edilizio. E la «Sedia del diavolo» ha perduto, almeno ufficialmente il nome: lo conserva sopra una targa stradale, e nella tradizione; ma il luogo, ridotto ad uno spartitraffico in mezzo alle case, tuttavia protetto da una cancellata, ha cambiato la sua denominazione. Prima, è divenuto piazza Adua; nel 1958, con qualche studio, si è scoperto che era il sepolcro di Elio Callistio, e lo slargo gli è stato intitolato. Che un tempo fosse in aperta campagna, ce lo ricordano le fotografie dell'Ottocento, e, per esempio, un acquerello del romano Enrico Coleman (1846 - 1911), che tanti reputano il caposcuola del naturalismo nella pittura dell'Urbe nella seconda metà Ottocento; allora, la «sedia» era assolutamente ben visibile, anche da grande distanza, e certamente faceva un notevole effetto: assai più di oggi.

IL LIBERTO
Elio Callistio (però, non è nemmeno sicurissimo che questa fosse la sua tomba) era un liberto. Uno schiavo affrancato dall'imperatore Adriano (117 - 138), che la storia ci ha tramandato come un governatore «buono»: lo dice anche uno studioso famoso, Edward Gibbon, amante delle arti e della filosofia, appassionato della cultura greca. Di Elio, non sappiamo molto: certamente, in qualche modo, era riuscito a possedere molti denari; se no, non si sarebbe certo potuto permettere un sepolcro tanto maestoso.
E fino agli Anni Cinquanta del secolo scorso, la piazza era intitolata alla sua «sedia del diavolo»: una targa alquanto scolorita ce lo rammenta ancora. Il poeta dialettale Giggi Zanazzo evoca il luogo; e ricorda che, di fronte, c'era una trattoria ormai sparita; si chiamava Mangheni. Esiste anche un progetto per valorizzare il sito archeologico, trasformandolo in area pedonale.
IL MONUMENTO
Lì accanto, è stato perfino ritrovato un insediamento preistorico, che risale, più o meno, a 200mila anni or sono: lo certificano scavi di fine Ottocento. E, ovviamente, il sepolcro è sottoposto pure al flagello delle erbe infestanti, che lo aggrediscono.
La «sedia» è a due piani, in laterizio, e risale alla metà del II sec.: l'epoca degli Antonini. Nel podio, una scala conduceva a una camera inferiore, semisotterranea, con due arcosoli su ciascuna parete e cinque nicchie a arco, su cui sono piccole finestre; il pavimento è in mosaico bianco.
I lati del sepolcro mostrano finestre, inquadrate da paraste corinzie. La camera superiore era per i riti funebri; ha una grande nicchia sul fondo, e la sua calotta, in buona parte ormai inesistente; si regge su pennacchi sferici; ai lati, possiede altre nicchie; ci sono tracce di decorazioni a stucco. La facciata è ormai crollata: restano appena tre dei lati, con un fregio abbastanza singolare, composto di mattoni di vari colori.
CE N'ERANO TANTI

A Roma, le presenze dei diavoli, con o senza le virgolette, sono molteplici: magari, ne parleremo un'altra volta. Per ora, ricordiamo la «Pietra del diavolo» a Santa Sabina: una notte, San Domenico di Guzman, fondatore dei Domenicani, in preghiera, è invano tentato dal Demonio. Il santo resiste. Allora, Satana prende un blocco di basalto, e lo scaglia contro il religioso, s'intende fallendo la mira. Perché il pesante oggetto distrugge invece una lapide dei martiri. La pietra è ancora lì, su una colonna tortile, con impressi i segno degli artigli diabolici, Così, almeno, si dice; però, pare che il blocco sia soltanto un peso da bilancia, o il resto di una macina, recuperato dai sotterranei.
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Il Messaggero