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Con il freddo si riacutizzano i malati cronici e rispuntano bronchiti e tonsilliti. Da due giorni è di nuovo ressa nei pronto soccorso di Roma con la caccia al posto letto. Nonostante i romani abbiano il timore di chiamare il 118 ed essere portati in ospedale dove temono di contrarre il Covid o, più semplicemente, di rimanere isolati durante il ricovero, impossibilitati a vedere e ricevere la visita e il conforto di parenti e amici, le richieste di Sos sono cresciute. E le ambulanze tornano a bloccarsi.
Solo ieri mattina, i degenti accalcati nelle sale e nei corridoi dei dipartimenti di emergenza e accettazione, alcuni “parcheggiati” sulle barelle, erano a decine: 54 al Pertini, 41 al Sant’Andrea, altrettanti al policlinico Umberto I, 39 al policlinico Gemelli, 35 al Casilino e 39 al policlinico di Tor Vergata, tanto per tratteggiare il quadro in alcuni dei principali hub della Capitale. Tutti pazienti più o meno gravi in attesa di un ricovero, ossia di un posto letto no-Covid disponibile.
La rete
Una situazione da “over-booking” non insolita per questo periodo dell’anno ma che ora viene a sovrapporsi all’emergenza dettata dalla pandemia. E in cui entra in gioco il modello flessibile, “a fisarmonica”, adattato alla rete ospedaliera regionale che prevede posti letto e strutture interamente dedicate alla cura del coronavirus. «Nei limiti del possibile - spiega il dottor Adolfo Pagnanelli, primario del pronto soccorso del policlinico Casilino - sono già state ripristinate alcune degenze no Covid, ma una riserva minima di posti letto esclusivamente dedicati al virus, almeno duecento, deve sempre rimanere.
I mezzi fermi
Lunedì i mezzi del 118 rimasti bloccati nei piazzali dei Dea in attesa della restituzione delle barelle erano 55, una quindicina “arenate” al San Giovanni, 13 nel piazzale di Tor Vergata, 8 al Casilino. Ieri la situazione era simile. Con le ambulanze impegnate anche nei Comuni della provincia limitrofi a Roma per dare una mano al sistema. «Tonsilliti, mal di gola, placche - afferma Pier Luigi Bartoletti, a capo della Fimmg, la Federazione dei medici di medicina generale di Roma e Lazio - sono molto diffuse in questi giorni e aggravano il quadro clinico di persone fragili e anziane. Eppure i nostri assistiti sono refrattari ad andare in ospedale. Hanno paura. In alcuni casi anche di Covid con saturazione bassa c’è chi ha rifiutato il ricovero: “Dotto’ meglio morire a casa mia”, mi sono sentito dire. Per fortuna, con le cure, il paziente non è morto». L'Ares 118 e l'assessorato alla Sanità fanno sapere che «nell'intera giornata di lunedì, il numero massimo di ambulanze bloccate è stato di 19 unità, 16 in quella di martedì» e aggiungono che non c'è stata, comunque, «la necessità di effettuare ricoveri direttamente in ambulanza».
I volontari
Intanto, dagli ospedali, sono praticamene spariti i volontari. Ossia coloro che prima della pandemia prestavano aiuto in corsia. Anche corsi e attività delle associazioni si sono fermate. L’assistenza ai pazienti e la comunicazione tra loro e i familiari è gestita in autonomia da ogni singola struttura. Non c’è una regola o un piano regionale. Diversi ospedali si sono dotati di tablet anche attraverso donazioni, al Santo Spirito sono arrivati telefonini a prova di contagio, ossia realizzati in materiale che si può disinfettare più facilmente. Ma non sempre la tecnologia è sufficiente e persino sui social rimbalzano le richieste di aiuto di familiari in cerca di infermieri o dottori che lavorano all’interno dei reparti per sapere delle condizioni dei degenti.
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Il Messaggero