L’infermiere senza occhiali nel bunker del reparto virus

L’infermiere senza occhiali nel bunker del reparto virus
Gli occhiali appannati, la bocca ostruita dalla doppia mascherina più la visiera, le orecchie tappate da una retina che stringe la testa. Gli infermieri e i medici del...

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Gli occhiali appannati, la bocca ostruita dalla doppia mascherina più la visiera, le orecchie tappate da una retina che stringe la testa. Gli infermieri e i medici del reparto Covid sono praticamente dei sordo-ciechi costretti a comunicare tra di loro urlando, seguendo protocolli di sicurezza rigidissimi, e con le dita strizzate da due strati di guanti. «Quando me li levo ho le mani bianche e gonfie, sembrano patate» racconta un infermiere. Per i miopi l’inconveniente più serio è quello del vapore che si condensa sugli occhiali. «Io alla fine ho scelto di non metterli: la vista sfocata è sempre meglio della nebbia davanti agli occhi». Il paramedico confessa la sua parziale cecità e intanto infila un ago in un’arteria del malato, all’altezza del polso. Il paziente lo segue con apprensione: pensa alle sorti della sua arteria, ma cerca di mostrare comprensione per l’interlocutore armato di siringa, e per le difficili condizioni in cui deve lavorare il personale sanitario. Lo sfogo dell’infermiere prosegue: «Speravamo che questo virus fosse passato e invece siamo di nuovo qua, con i ricoverati che aumentano ogni giorno. Per i pazienti è peggio, certo, ma pure per noi è massacrante. Così non è vita». È il messaggio che ci arriva dal bunker di un reparto Covid di Roma, dove oggetti ed esseri umani sono avvolti in un doppio strato di plastica, e dove si può solo sperare che fuori cambi qualcosa.

pietro.piovani@ilmessaggero.it
 

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Il Messaggero