L’infermiere senza occhiali nel bunker del reparto virus

L’infermiere senza occhiali nel bunker del reparto virus
di Pietro Piovani
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Lunedì 2 Novembre 2020, 01:01 - Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 16:15

Gli occhiali appannati, la bocca ostruita dalla doppia mascherina più la visiera, le orecchie tappate da una retina che stringe la testa. Gli infermieri e i medici del reparto Covid sono praticamente dei sordo-ciechi costretti a comunicare tra di loro urlando, seguendo protocolli di sicurezza rigidissimi, e con le dita strizzate da due strati di guanti. «Quando me li levo ho le mani bianche e gonfie, sembrano patate» racconta un infermiere. Per i miopi l’inconveniente più serio è quello del vapore che si condensa sugli occhiali. «Io alla fine ho scelto di non metterli: la vista sfocata è sempre meglio della nebbia davanti agli occhi». Il paramedico confessa la sua parziale cecità e intanto infila un ago in un’arteria del malato, all’altezza del polso.

Il paziente lo segue con apprensione: pensa alle sorti della sua arteria, ma cerca di mostrare comprensione per l’interlocutore armato di siringa, e per le difficili condizioni in cui deve lavorare il personale sanitario. Lo sfogo dell’infermiere prosegue: «Speravamo che questo virus fosse passato e invece siamo di nuovo qua, con i ricoverati che aumentano ogni giorno. Per i pazienti è peggio, certo, ma pure per noi è massacrante. Così non è vita». È il messaggio che ci arriva dal bunker di un reparto Covid di Roma, dove oggetti ed esseri umani sono avvolti in un doppio strato di plastica, e dove si può solo sperare che fuori cambi qualcosa.

pietro.piovani@ilmessaggero.it
 

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