Sta per partire o forse è appena tornato. Raffaele Marra, l’ex braccio destro di Virginia Raggi, è in attesa sotto i portici di piazza Vittorio. Sabato, ora di...
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Marra si è fatto sei mesi di carcere per una vicenda del 2013: 367 mila euro che, secondo la Procura, il costruttore Sergio Scarpellini gli avrebbe dato per l’acquisto di un appartamento dell’Enasarco a Roma. Inoltre è finito nei guai anche per abuso d’ufficio nella nomina del fratello Renato a capo dal dipartimento Turismo (procedimento per cui Raggi è a processo per falso). Marra non vorrebbe parlare, si sente al centro di una congiura. «Sono stato una vittima del sistema mediatico - dice l’ex dirigente e già vicecapo di gabinetto di Raggi - ho pagato la vicinanza alla sindaca. E poi eccomi adesso come sono ridotto: non ho più niente, sono solo, senza famiglia, senza lavoro. Ma la pagheranno tutti».
L’ex Rasputin del Campidoglio, mentre percorre i portici umbertini dell’Esquilino, si sfoga: «Fu Raggi a chiamarmi perché non era capace di gestire la macchina del Comune. Ora mi hanno abbandonato anche loro». L’ex poten- tissimo capo del personale si fa modesto: «Hanno detto che ero l’ottavo re di Roma, ma per favore, non mi facevano comprare nemmeno la carta igienica. Davo una mano». Una scaltrezza che, per i pm, è causa dei suoi problemi. «Hanno scritto che riciclavo i soldi a Malta, che avevo uno yacht: bene Bankitalia sostiene il contrario. Perché nessuno lo dice?».
La vicenda per cui venne arrestato riguarda la presunta tangente che gli diede Scarpellini in cambio di una possibile sponda in Comune. Quello che per Raggi diventò un minuto dopo l’arresto «uno dei 23 mila dipendenti del Comune» ora vede fantasmi ovunque. Se la prende con i giornali e con forze oscure della politica «Carla Raineri, allora capo di gabinetto, fece un esposto in Tribunale contro di me: perché non andate a vedere che fine hanno fatto?». L’ex dirigente è coinvolto anche nel processo delle nomine proprio con la sindaca. «Quella è una stupidaggine, figuriamoci. Non me ne frega niente. Lo schifo è l’altro: i miei sei mesi di carcerazione per un presunto reato del 2013. Ma la pagheranno tutti». Ha in mano un cellulare e forse sta registrando questa conversazione «Non finirà qui». E se ne va nell’ombra, proprio come ai tempi del Campidoglio. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero