Quell'affondo-boomerang di Raggi contro le quote rosa

Raggi
No, le quote rosa proprio no. Parola di Virginia Raggi. In polemica contro il politicamente corretto. «Per me - annuncia il sindaco di Roma - la legge sulle quote rosa...

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No, le quote rosa proprio no. Parola di Virginia Raggi. In polemica contro il politicamente corretto. «Per me - annuncia il sindaco di Roma - la legge sulle quote rosa rappresenta la definizione di una sorta di recinto. Dentro il quale si è voluto circoscrivere la presenza femminile, perché questa avesse rappresentanza. E' una legge fortemente discriminatoria». Di più: «Si tratta di una norma che non garantisce né democrazia né meritocrazia. Offende, in primo luogo, proprio le donne, e le relega in una visione anacronistica e primitiva. Io credo che la parità di genere vada promossa nella società. Serve una nuova visione culturale».


Parole pronunciate in un consesso importante, la Global WINConference che si sta svolgendo a Roma, di fronte a una platea di più di seicento donne - e alcuni uomini - provenienti da ogni parte del mondo. Aggiunge la Raggi: «Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni, come sosteneva Eleanor Roosevelt. E noi donne sappiamo guardare con gli occhi della bellezza. Sappiamo disegnare scenari innovativi e straordinariamente grandi». E «giorno dopo giorno - incalza il sindaco di Roma - riusciamo a scrivere un diario sempre ricco di pensieri ed emozioni». Comincia sferzante, la Raggi, conclude poetica. E in ogni caso: come darle torto? Stroncando le quote rosa come finta conquista del protagonismo femminile, dice cose largamente condivisibili e condivise soprattutto dalle donne. Espone un pensiero sempre più diffuso nella società, fin quasi a diventare luogo comune. Bene, brava, bis?

L'ORBITA
Forse proprio la Raggi non è nella condizione più adatta per avanzare queste critiche sacrosante. Che sembrano derivare, nel suo caso, da un deficit evidente: nella giunta, sbilanciata in favore della presenza maschile, la componente femminile è sotto-rappresentata. E non risponde al criterio di metà e metà, previsto dalla legge su Roma Capitale. Se le donne vanno valorizzate per i loro meriti e non per ossequio a regole imposte dall'alto, perché lei ne ha messe poche in giunta?

L'INCONGRUENZA
L'impressione è che la Raggi, non trovando donne disponibili (e forti della loro competenza) a entrare nella sua orbita, invece di riflettere su questa sua debolezza lancia la palla fuori dal campo: rispolverando, in via teorica, la classica polemica sulle quote rosa.


Oltretutto, questa vicenda mette a nudo un'incongruenza. Ossia che il sindaco donna ha problemi con le donne che ruotano o dovrebbero ruotare intorno alla sua esperienza di governo. Daniela Morgante, che doveva essere capo di gabinetto, è saltata prima del tempo. Carla Raineri, insediata in quella carica, si è dimessa subito. Paola Muraro, assessore all'ambiente, è indagata e potrebbe lasciare. Per non dire del pragmatismo e del protagonismo di Chiara Appendino, sindaco torinese, che da lontano fa ombra alla Raggi attardata nella sua falsa partenza. E soprattutto della guerra che donne toste pentastellate - la Lombardi, la Ruocco, la Taverna - hanno scatenato fin dall'inizio contro Virginia. La quale, a suo modo, è equanime: non sta trovando né uomini né donne da inserire nelle caselle ancora scoperte della sua squadra. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero