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I FATTI
A dare l'allarme sono stati i residenti che hanno visto alte colonne di fumo e lunghe lingue di fuoco. «Sembrava entrassero dentro le nostre case», hanno detto gli abitanti del lungomare Paolo Toscanelli.
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L'ipotesi "bravata" sembra perdere terreno e consistenza davanti alla serie di eventi che ha caratterizzato le notti di agosto di Ostia con le quattro bombe esplose in cinque giorni che hanno costretto il prefetto Giannini a convocare un comitato provinciale per l'ordine e la pubblica sicurezza la vigilia di Ferragosto. Il quadro non appare così scontato se si considerano alcuni elementi. Intanto i precedenti, non è la prima volta che le spiagge di Ponente vengono prese di mira dai piromani. Nel settembre di due anni fa, furono carbonizzati i bagni chimici dell'arenile sul lungomare Duca degli Abruzzi, ancora prima quelli della spiaggia per cani. Episodi e roghi che portarono più volte la commissione prefettizia - alla guida del Municipio di Ostia dopo lo scioglimento per mafia - a lanciare appelli per non abbassare la guardia. Un modus operandi consolidato quasi e un copione che sembra essere lo stesso e che ha sempre lo stesso soggetto e la stessa ambientazione: le spiagge e la zona di Ponente. Quella dei clan, a pochi passi da piazza Gasparri. Quelle spiagge che nessuno vuole e che puntualmente a ogni bando vanno deserte e che portò anni fa il prefetto Magno a mettere in relazione le gare a vuoto con il «possibile controllo esterno sulla procedura di aggiudicazione».
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Poi c'è il caso scoppiato all'inizio dell'estate, riportato da Il Messaggero. Quando il presidente del X Municipio chiamò un imprenditore di Ostia per chiedere di «farsi carico» della gestione di quel lotto, lo stesso che è stato interessato poi dalle fiamme dell'altra notte. Non se ne fece nulla per evitare di compromettere la «trasparenza dell'operazione». E quella spiaggia è rimasta terra di nessuno.
Il Messaggero