Roma, negozianti del centro protestano a piazza di Spagna: «Siamo dissanguati». L'Harry's bar: così non riapriamo

Roma, negozianti del centro protestano a piazza di Spagna: «Siamo dissanguati». L'Harry's bar: così non riapriamo
Roma «Senza aiuti non riapriamo, meglio aiutare le imprese che continuare a puntare tutto sul reddito di cittadinanza». Oltre un centinaio di negozianti del centro...

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Roma «Senza aiuti non riapriamo, meglio aiutare le imprese che continuare a puntare tutto sul reddito di cittadinanza». Oltre un centinaio di negozianti del centro stamattina hanno protestato sulla scalinata di piazza di Spagna per accendere un faro sulla crisi che sta colpendo con violenza le imprese del commercio. Mascherine, guanti e megafono. I commercianti sono usciti in strada a manifestare. A prendere la parola Daniele Raccah, titolare di 120 punti vendita del marchio di abbigliamento Dan John a Roma. Il coronavirus ha messo in ginocchio la rete dei negozi cittadini e questa è la prima protesta in centro storico


Virus, riaperture di parrucchieri e negozi: orari e distanze: ecco cosa non si potrà fare

«Chiediamo la decontribuzione per i dipendenti altrimenti dovremo licenziare: insieme a loro abbiamo costruito imprese forti: piuttosto che cassa integrazione o reddito di cittadinanza presumo che sarà meglio finanziare le imprese, chiediamo un aiuto sui finanziamenti bancari, ci sono degli intoppi, e poi chiediamo un supporto per la sanificazione dei negozi: non sappiamo come operarla: si rischia di spendere centinaia di migliaia di euro senza sapere se si è eseguita bene. Infine: tenete aperte le Ztl perché i turisti non ci sono più e le persone devono poter entrare in centro», ha detto Raccah. 

Quattro metri quadri per ogni cliente e menù digitali: le regole per i ristoranti


Proprio su questo fronte, lunedì l'Harry's bar di via Veneto non riaprirà. «Non credo di farcela con le nuove regole e poi la responsabilità civile e penale per i dipendenti, nel caso si ammalassero, è troppo alta e pesante». A dirlo è Pietro Lepore, che da 20 anni gestisce il locale noto nel mondo come il simbolo della Dolce Vita e tempio di cocktail e vip. È chiuso dal 10 marzo, per l'emergenza coronavirus. «Ho fatto le prove e all'interno tenendo la distanza di 4 metri fra i tavoli, potrei avere non più di 20 clienti, prima erano 90. Per fortuna ho lo spazio fuori, circa 60-70 posti. Forse si ridurranno a una quarantina ma qui i metri di distanza devono essere 2 e forse ci si può allargare un pò sul marciapiede», continua. A preoccuparlo di più è il nodo della responsabilità civile e penale per i lavoratori (ne ha in tutto 24, ora in cassa integrazione) e le spese fisse. «Stando chiuso e senza dipendenti, spendiamo 2000 euro al giorno tra affitto e bollette» e conclude: «Ho voglia di riaprire ma per ora non lo faccio, non ci sono le condizioni. Vale la pena di non incassare e rischiare?».  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero