Silenzi, telefonate mute, intimidazioni e minacce. Ma anche una sentenza che condanna il Ministero della Difesa per aver «violato il diritto alla verità». Resta...
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Caso Cervia, la moglie a 30 anni dalla scomparsa: «Stato assente»
Questa è una storia che, forse, fa ancora paura a qualcuno. «Continuo a ricevere - dice con determinazione e coraggio Marisa Gentile - minacce e intimidazioni. Ogni volta che parlo di Davide. Mi è capitato di parlarne nelle scuole con gli studenti e poco dopo mi sono ritrovata, in ben due occasioni, le ruote dell’auto squarciate. Quando organizziamo seminari o cortei, puntualmente ricevo nei giorni precedenti e a seguire le classiche telefonate mute. Questo è stato fin dall’inizio e continua a essere. Come se ci fosse un’organizzazione oscura, un’entità che ci controlla dietro tutto questo. Evidentemente Davide fa ancora paura a qualcuno». Che fine ha fatto Davide Cervia? È l’interrogativo più banale che possa venire in mente, ma anche il più difficile a cui dover rispondere. «Io mi auguro che Davide sia da qualche parte e ancora in vita, ma credo che comunque sia stato vittima di un traffico internazionale di armi. Chi lavora o indaga su certi argomenti fa una brutta fine. Come è successo poi per Ilaria Alpi».
LA VICENDA GIUDIZIARIA
«La sentenza del tribunale civile sancisce ufficialmente per la prima volta il diritto alla verità come diritto costituzionale e stabilisce anche che in questa vicenda esso è stato violato - spiega l’avvocato Licia D’Amico - un precedente simile forse può essere rintracciato in parte con il caso Ustica». Eppure in un primo momento la Procura aveva ipotizzato l’«allontanamento volontario». Una teoria che però non convince. Il giallo della scomparsa del supertecnico in GE, figura professionale molto ricercata in quegli anni di inaudite tensioni sul fronte mediorientale, fin dalle prime ore evidenziò elementi in contrasto con le tesi dell’allontanamento volontario e del suicidio. Davide era legato alla famiglia, appagato professionalmente. E, soprattutto, era nel mirino di oscure entità, forse legate al traffico di uomini e armi. la battaglia della famiglia e del Comitato per la verità si orientò subito verso un obiettivo: ottenere dalla Difesa il vero foglio matricolare dell’ex sergente della Marina Militare, che attestasse le sue competenze rare e qualificate sui sistemi d’arma montati sulle navi militari, il che avrebbe reso chiaro il movente del sequestro. L’inchiesta si arenò. Fino alla sentenza-svolta, che ha riacceso le speranze: nel gennaio 2018, infatti, il tribunale civile di Roma ha condannato il ministero della Difesa per «violazione del diritto alla verità». «Ora aspettiamo la commissione parlamentare d’inchiesta promessa dal Presidente Conte, ma ad oggi ancora nulla», conclude la moglie Marisa. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero