Se ne parlerà ancora per chissà quanti anni del «delitto del vinaio del Trionfale», quel «poveretto scannato dal tassista brasiliano ubriaco al...
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Erano armati: coltelli, lame per uccidere. Due feriti, gravissimi. «Colpito due volte senza motivo, alla pancia e a un rene. Avevo l’intestino in mano, sono vivo per miracolo», può raccontare oggi Gianluca Macrì Messineo, tifoso romanista. Era ubriaco fradicio Joelson Bernasconi, origini brasiliane, adottato da bambino, un appartamento a Monte Mario, precedenti per furto e lesioni, licenza di taxi messa in mano ad un tipo dal carattere fumantino, irascibile, un tipo che s’accendeva come un cerino, per un niente. Il movente di questo lampo omicida sta proprio in un rifiuto. Sorrentino da quarant’anni è conosciutissimo in tutta la zona per il suo “Vino e Olio”, un negozietto vecchio stampo che vendeva poco e che lui teneva aperto fino a notte, tanto a casa non l’aspettava nessuno e quel lavoro, incontrare gente, fare due chiacchiere, scambiarsi una battuta in romanesco. Un vero amore, dice la nipote, ripete la sorella, malata, che abita lontano e lo sentiva quasi solo per telefono. La tragedia della ferocia ha avuto bisogno di pochi minuti per compiersi nella sua sconvolgente banalità. Il tassista Bernasconi, così la ricostruzione dei carabinieri, è nella vineria vistosamente alticcio, barcolla, alza la voce, agita quel corpo massiccio e minaccioso. Vuole da bere, ancora da bere.
Sorrentino sa come si deve fare con questo genere di clienti e forse conosce quell’uomo che più tardi, ormai con la vita che se ne va col suo sangue, chiamerà “Gianni”. Gli dice che non può servirlo. È contro la legge. Là fuori c’è il taxi, sarebbe da pazzi accontentarlo. L’uomo reagisce come una furia, si alzano grida e un vicino le sente, svegliato di soprassalto, e chiama i carabinieri. Ma l’inizio e la fine della tragedia coincidono, racchiusi nella frazione di pochi istanti, perché Bernasconi colpisce con una bottiglia Sorrentino al capo e con il collo tagliente gli squarcia la gola. Compiuto il suo gesto, il tassista se ne va, imbrattato anch’egli, marchiato dal suo delitto. Ripasserà più tardi davanti a “Vino e Olio”, i carabinieri lo riconosceranno e lui tenterà la fuga investendo un militare e per un soffio non ammazza anche lui. Sorrentino era un uomo mite, servizievole, disponibile, gentile. Certo non un attaccabrighe. Viveva nel suo negozio, che ormai apriva soltanto di sera cercando di tirar su qualche soldo in più contro una concorrenza che s’era fatta asfissiante. Lo conoscevano tutti, ne ammiravano il tratto d’altri tempi e quella sua determinazione, sulla soglia degli ottant’anni, di restare sulla breccia, in trincea. Non s’era accorto che la sua Roma, di notte, è percorsa da lupi mannari, aggressivi e stupidi, balordi di boria.
Ce lo racconta la movida, ogni sera di festa con fiumi di alcol, di questa gente che s’aggira con i coltelli in tasca pronta a far luccicare le lame per un niente.
Il Messaggero