Roghi, tensioni e campi rom: gestione da 24 milioni l'anno

Roghi, tensioni e campi rom: gestione da 24 milioni l'anno
Ci sono pezzi di città dove le giornate si concludono tutte allo stesso modo. Fumi, roghi tossici. Certe notti ci scappa pure il ferito, altre l'arresto. Bottiglie, sassi,...

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Ci sono pezzi di città dove le giornate si concludono tutte allo stesso modo. Fumi, roghi tossici. Certe notti ci scappa pure il ferito, altre l'arresto. Bottiglie, sassi, catene volano come niente, anche se nessuno va poi a raccontarlo alla polizia. Succede al Trullo, periferia sud, ma anche a Ponte Mammolo, zona est o a Primavalle (Nord). Succede da qualche anno. Pezzi di città che hanno un ritmo loro, storie loro, vite parallele a tutto il resto. Succede proprio in quelle realtà abbandonate, lasciate al loro destino. E succede troppo spesso in periferia «nei campi rom», dicono i residenti. Ma superare la questione dei mega villaggi monoetnici, o quella degli insediamenti abusivi non è cosa semplice. Un argomento che torna puntualmente alla ribalta appena si presentano situazioni di disagio così come è accaduto a Tor Sapienza. Il punto cruciale, spiegano le associazioni, è che «attraverso la politica dei campi, gli amministratori locali hanno definito le comunità rom e sinte a Roma come nomadi, non cittadini, individuando il campo come lo spazio nel quale relegarli, benché essi non siano più nomadi ormai da diverse generazioni». Ed è proprio su questo punto che l'Italia rischia una procedura di infrazione da parte della Commissione europea, per via delle politiche abitative di «segregazione» nei confronti dei nomadi. Eppure i soldi vengono investiti «anche se non si vede», ripetono i cittadini.


I COSTI

Accanto alle risorse dell'emergenza, infatti, ci sono costi di gestione pagati attraverso canali ordinari. Nel 2013 al Comune la gestione delle popolazioni nomadi - 8mila persone di cui più della metà sono bambini - è costata circa 24 milioni di euro. Una cifra spesa quasi unicamente per amministrare le diverse strutture che si estendono per 157.570 metri quadrati: 22 volte il campo di calcio dello stadio Olimpico. Mentre solo lo 0,4 per cento dei fondi è stato utilizzato per l'inclusione sociale e il 13,2 rivolto ad interventi di scolarizzazione. Per la gestione degli 8 villaggi della solidarietà (cioè i campi considerati regolari) presenti a Roma: Lombroso, Candoni, Gordiani, Cesarina, Camping River, Castel Romano, Salone, La Barbuta il Comune ha speso più di 16 milioni di euro. Senza dimenticare via Salviati (1 e 2).


Tra questi, il campo di Castel Romano, dove risiedono 989 rom, risulta il più costoso: oltre 5 milioni di euro nel solo 2013. «Ci vogliono soluzioni abitative extra-campo, finalizzate all'inclusione sociale - spiegano dall'associazione 21 Luglio - già attuate in altre città, come Messina e Padova, dove, grazie a progetti di autorecupero e autocostruzione, si spenderanno in 5 anni rispettivamente 10 mila euro e 50 mila euro per una famiglia rom di 5 persone. A Roma, la stessa tipologia di famiglia che vive nel campo de La Barbuta costa alle casse comunali 155 mila euro in cinque anni». Ma una cosa è certa, per gestire l'integrazione rom servono progetti mirati, non protocolli bilaterali firmati per salvarsi la coscienza. Risultato: ci sono oltre duecento micro e medi insediamenti che appaiono e scompaiono. Prima dell'estate (tanto per rendere l'idea) sul territorio romano risultavano 8.400 nomadi. Oggi due, tre mila anonimi sono sparsi in accampamenti spontanei. E di tanti altri non si conosce nemmeno l'esistenza. La situazione è sotto gli occhi di tutti: fuori controllo.

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Il Messaggero