Non è facile sentirsi dare della lesbica per un taglio di capelli troppo corto. O della menomata per le cure continue e quell'handicap che non ti fa sgambettare veloce...
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LE MINACCE
«Faccio appello - ha scritto - a tutti quei ragazzi che hanno subìto bullismo come la sottoscritta o che lo stanno subendo. Ma non solo anche a tutti quei ragazzi che oggi non sono qui con noi, ma sono lassù, che ci guardano dall'alto», come, lascia intuire, il ragazzo ribattezzato «dai pantaloni rosa» morto suicida alla stessa età nel 2012. «Ora vi voglio raccontare la mia storia», comincia. «Come tutti i ragazzi sanno, un anno scolastico è molto pesante. Ma la pesantezza del mio anno scolastico non era dovuta alla quantità di compiti o studio, ma bensì dalle mie compagne di classe». «Quando entravo dentro la scuola», scrive, «avevo gli occhi puntati addosso, sentivo risatine... Il mio nomignolo? Qual era? Lesbica. Quando l'ho saputo dentro di me è crollato il mondo. Soprattutto quando le mie professoresse e il dirigente scolastico ne erano venuti a conoscenza e non avevano mosso un dito». «Questo nominativo di lesbica è andato avanti durante tutto il percorso scolastico, accompagnato da menomata e dalle minacce che ricevevo. Penso che questa sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, la mia decisione di non andare più a scuola». Una scuola, precisa ancora nella lunga lettera, «scelta con amore e impegno nonostante le difficoltà, e una vita difficile sempre per ospedali ma presa con caparbietà, grande tenacia, rispettando tutto e tutti». Eppure aggiunge la ragazzina, che sembra un'adulta, «sono crollata. Non riuscivo più a sostenere una situazione come quella. Non riuscivo a mettere neanche più piede in quella scuola».
E allora racconta: «Ho deciso di parlare. Colei che mi ha ascoltata è stata mia madre. E' stato difficile raccontarlo perché ogni volta era come se rivivessi ogni singolo momento. Ho cercato allora di non commettere pazzie, di non entrare in quel tunnel senza uscita...». La lettera si chiude con un ringraziamento speciale a Bulli Stop, il centro nazionale contro il bullismo, al suo legale, l'avvocato Eugenio Pini, ma anche alla professoressa Giovanna, e soprattutto «alla mamma che ha saputo prendermi per mano e mai lasciarmi».
La quindicenne ha realizzato così il suo progetto nel cassetto, far pubblicare la lettera su un giornale «per raccontare la sua storia e sostenere chi come me è vittima di bullismo». «Per far capire a ogni ragazzo che aprirsi è la cosa più giusta. Perché è oggi il bene che deve vincere sul male». Sul caso, come anticipato ieri da Il Messaggero, sono state aperte due inchieste: una dalla procura dei minori per gli episodi di bullismo e cyberbullismo vissuti in classe, e una a piazzale Clodio nei confronti di chi a scuola non sarebbe intervenuto in tempo. Per mesi la liceale sarebbe stata vittima di cyberbullismo in classe. Filmata e fotografata, lanciata in diretta su Instagram, anche in modalità boomerang con l'inquadramento di tutta l'aula, e sempre contro la sua volontà.
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Il Messaggero