Atac a rischio stop: niente garanzie «No» delle banche a fideiussione

Atac a rischio stop: niente garanzie «No» delle banche a fideiussione
Nessuna banca si fida dell’Atac. In sei mesi la più grande partecipata dei trasporti pubblici del Paese, quasi 12mila dipendenti e un debito ciclopico di 1,3...

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Nessuna banca si fida dell’Atac. In sei mesi la più grande partecipata dei trasporti pubblici del Paese, quasi 12mila dipendenti e un debito ciclopico di 1,3 miliardi, non è riuscita a trovare un-istituto-uno che accettasse di sottoscrivere una fideiussione da circa 10 milioni di euro, fondamentale per assicurare il servizio di bus e metro nella Capitale. La società del Campidoglio ha un bisogno disperato di una garanzia esterna, pena la cancellazione dal registro delle imprese e quindi il ritiro della concessione, perché da fine settembre si ritrova con un «patrimonio netto negativo». Lo ha certificato l’ultimo bilancio approvato dal Cda e avallato dalla giunta di Virginia Raggi. Nel consuntivo del 2016, la municipalizzata ha dichiarato perdite per 212,7 milioni di euro, dovute principalmente alla scelta della giunta grillina di non riconoscere 157,4 milioni di crediti vantati nei confronti del Comune, «nonostante li avesse già riconosciuti negli esercizi precedenti», come hanno scritto i vertici dell’azienda. Il patrimonio netto, quindi, da positivo è diventato negativo. Così l’azienda ha potuto chiedere il concordato preventivo al Tribunale fallimentare. «È la scelta giusta per risanare l’Atac», ha detto e ripetuto in questi mesi Virginia Raggi.


In realtà la strada verso il salvataggio è un percorso ispido e stretto. Intanto perché proprio da quando il patrimonio è diventato negativo, l’Atac ha dovuto comunicare alla Motorizzazione civile, che fa capo al Ministero dei Trasporti, che non ha più i requisiti finanziari per essere iscritta al registro elettronico nazionale delle imprese. Un’alternativa c’è: una fideiussione. Il 29 settembre scorso la Motorizzazione, come prevede la legge, ha concesso all’azienda del Comune sei mesi di tempo per trovare una banca o una compagnia assicurativa disponibile. Risultato, a fine marzo il gigante malato dei trasporti romani ha ammesso che l’indagine di mercato è andata deserta. Insomma, nessun istituto ha voluto dare garanzie. 

A quel punto, per rispettare i paletti piuttosto stringenti sia della legge nazionale che dell’Unione europea, la Motorizzazione ha avviato formalmente la procedura di revoca della concessione per svolgere il servizio di trasporto pubblico a Roma. All’azienda del Campidoglio sono stati concessi, però, altri 60 giorni per giocarsi le ultime fiche. La data da cerchiare di rosso sul calendario, quindi, è il 30 maggio. Il d-day dei trasporti romani, perché è la stessa scadenza fissata dal Tribunale fallimentare per cambiare il piano industriale, considerato che la prima versione, consegnata a gennaio, è stata giudicata dai magistrati imprecisa e carente, tanto da far emergere «profili di inammissibilità», cioè a rischio bocciatura.

PIANO B
Nel quartier generale di via Prenestina, così come nel Campidoglio pentastellato, sono convinti di avere ancora qualche carta da giocare. E che la partita possa chiudersi positivamente. Certo toccherà ricorrere a qualche espediente nuovo, per ribaltare il risultato e fermare il processo di revoca.
L’ipotesi di cui si sta discutendo in queste ore di vertici concitati a Palazzo Senatorio è quella di una sorta di “garanzia temporanea” firmata dal Comune o magari delle “Assicurazioni di Roma”, la mutua di proprietà del Campidoglio. Ipotesi di cui va ancora valutata la percorribilità tecnica e che in ogni caso andrà contrattata con i tecnici del Ministero, che nel frattempo, per tutelarsi, hanno contattato l’Avvocatura dello Stato per capire su quali margini di discrezionalità possano contare. 

Sarebbe una “toppa” per prendere tempo, sperando che il Tribunale avalli il concordato e che lo faccia il prima possibile. Perché con l’«omologa», cioè il via libera al piano di salvataggio, il patrimonio netto tornerebbe positivo. Certo, vanno prima convinti i commissari indicati dal Tribunale. Soprattutto, va ridisegnato il piano per traghettare il colosso della mobilità romana fuori dalla palude degli sprechi, dei bus guasti perché senza ricambi, dell’assenteismo record. È una doppia partita, finanziaria e strategica, dove il M5S di Roma si gioca la faccia.
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Il Messaggero