Hanno lavorato sugli elicotteri e negli hangar, per anni. A contatto con l'amianto. Senza essere informati dei rischi che stavano correndo per la loro salute e per quella...
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LE FAMIGLIE
Gli accertamenti arrivano dal comando del Centro di aviazione di Pomezia con le misurazioni della Asl di Viterbo. Gli elicotteristi affermano che «fino al 2013» non hanno «mai avuto notizia diretta o indiretta» e non hanno «mai assistito a controlli mirati a riscontrare la presenza di amianto». E così «gli istanti hanno esposto alle pericolosissime fibre di amianto anche i componenti della propria famiglia, alcuni con figli molto piccoli, perché quando terminavano il turno di lavoro, rientravano nelle proprie abitazioni con abiti da lavoro, che venivano poi lavati in casa». Dal 2013 però, il comando della Finanza «ha affrontato e sta gestendo tale pericolosa e urgente situazione, al fine di preservare e tutelare la salute dei lavoratori».
IL CASO
In questo filone, spicca il rinvio a giudizio da parte della Procura militare di Napoli (il 17 dicembre ci sarà udienza), per un sottufficiale di base a Capodichino, tecnico di elicotteri. L'uomo è accusato di «sabotaggio di opere militari aggravato perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, il 15 gennaio 2014 avvicinava ad uno dei filtri rilevatori di eventuali fibre di amianto, ivi installato, un barattolo dal contenuto ignoto». Sarebbe volontariamente entrato in contatto con l'amianto per ottenere benefici pensionistici. Ma per l'avvocato difensore Massimiliano Strampelli, supportato da perizie tecniche, ci sarebbero «tagli alle registrazioni delle videocamere che hanno ripreso l'elicotterista, mancano i testimoni e il corpo del reato. Scientificamente è impossibile». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero