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Undici svastiche sulla tomba di Alfredino Rampi. Undici simboli nazisti sulla lapide di un bimbo di sei anni morto dopo giorni di agonia in un pozzo artesiano. Undici sfregi alla memoria di un lutto collettivo che ha segnato la storia italiana. È quello che è successo a Roma, nel cimitero monumentale del Verano, dove qualcuno ha profanato la tomba dove riposa Alfredino, morto il 13 giugno 1981 dopo essere caduto in un pozzo artesiano a Vermicino, nel comune di Frascati.
Angelo Licheri morto, tentò di salvare Alfredino
Profanata al Verano la tomba di Alfredino Rampi
«Siamo increduli e senza parole - il commento laconico dell'associazione, cui fanno riferimento i genitori del bimbo -. Si tratta di qualcosa che nessuno di noi avrebbe mai pensato di dover commentare. È forse anche il segno del degrado di questi tempi. Siamo costernati». Sulla vicenda indagano i carabinieri della stazione San Lorenzo, che stanno ora procedendo con le analisi delle immagini delle telecamere di videosorveglianza della zona per cercare di individuare i responsabili.
La condanna
Ferma condanna è stata espressa da tutto il mondo politico, con il sindaco della Capitale, Roberto Gualtieri, che ha annunciato di aver già incaricato i servizi comunali di ripulire lo «scempio».
Le reazioni
Fratelli d'Italia, per voce del capogruppo alla Camera Francesco Lollobrigida, ha definito la profanazione «un atto gravissimo, ingiustificato e incomprensibile». «E' inquietante - ha sottolineato - che il cimitero monumentale del Verano possa essere oggetto di atti vandalici ma ancora di più contro la sepoltura di un bambino innocente simbolo di una tragedia nazionale che colpì le coscienze e i cuori di tutti gli italiani». «Indecente la profanazione della tomba di Alfredino Rampi al cimitero del Verano - il tweet del Movimento 5 Stelle del Lazio -, dove mani inqualificabili ne hanno imbrattato la lapide con svastiche». «E' inaccettabile la vigliacca profanazione», scrive su Twitter il sindaco Gualtieri ribadendo che «Alfredino resta nei nostri cuori. Questi barbari si vergognino».
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Il Messaggero