Rieti, a chi dà fastidio San Liberatore?

Una partita di basket negli anni '60
RIETI - Regina Pacis, Snia, Borgo, Stimmatini. Una volta la Rieti degli anni 60, 70 e 80 pullulava di campetti da basket. Il più importante? Quello dell'attuale pietra dello...

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RIETI - Regina Pacis, Snia, Borgo, Stimmatini. Una volta la Rieti degli anni 60, 70 e 80 pullulava di campetti da basket. Il più importante? Quello dell'attuale pietra dello scandalo: il chiassoso campo di via San Liberatore, sgomberato con gran scalpore giorni fa dai carabinieri su richiesta dei residenti che la domenica pomeriggio non riuscivano a riposare. A San Liberatore partì il boom del basket che portò Rieti in Europa grazie alla lungimiranza di Renato Milardi, fratello di Andrea. Tra l'altro: cosa sarebbe lo sport reatino senza la famiglia Milardi? Ma torniamo a San Liberatore, dove la gloriosa Amg Sebastiani giocò - sotto sole, pioggia e neve in serie C e B d'Elite, finché nel 1969 si spostò nell'impianto oggi intitolato a Sandro Cordoni che, insieme a «Giggi Ferro» Simeoni, crebbe su quel campo in cemento, come le gradinate sorrette da tubi innocenti a ridosso del muro delle scuole dove all'epoca sedevano i tifosi. Grazie al boom della Sebastiani Brina, migliaia di ragazzi affollarono i campetti per anni, dall'alba al tramonto, e nessuno mai protestò per lo spettacolo di quei ragazzi, alcuni dei quali, senza far nomi e torti a nessuno, arrivarono in serie A, B e C.

Poi le cose cambiarono: la Sebastiani sparì, il basket andò in crisi, il boom scemò e i campetti si svuotarono, anche perché la società stava cambiando. La maggior parte di chi legge questo articolo ha giocato in strada, ha corso nei campi, s'è arrampicata sugli alberi, s'è sbucciata le ginocchia, medicate con alcool che bruciava da pazzi, non temeva di ammalarsi e, pur invecchiando, non si lagnerebbe mai sentendo rimbalzare un pallone che aggrega tanti ragazzi attorno a un ritrovato rituale fisico e sano.
Oggi invece computer, internet, satellite, playstation, smartphone e mille diavolerie hanno reso i giovani pigri e sedentari - ma non le dita che scivolano sugli schermi a velocità della luce - mentre tutti, noi inclusi, sempre più presi a chattare, ovunque, in finta compagnia, stiamo perdendo il senso della socialità: sgretolatasi come le tribune in cemento di San Liberatore, il cui campo fu meritoriamente restaurato pochi anni fa per farlo tornare luogo di aggregazione.

Una socializzazione però sgradita a chi preferisce star chiuso, occhi e orecchie, nella propria solitudine, dimenticando di, essere stato un giovane carico di energie da liberare. Forse i «solitari» di San Liberatore sono invidiosi per la gioventù perduta. O, forse, sono solo smemorati. Forse, hanno più bisogno di aiuto loro dei ragazzi di via San Liberatore. Qualcuno faccia comunque qualcosa. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero