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RIETI - Una mezz'oretta di chiacchiere di buon mattino con Pupi Avati riconciliano con la rincorsa al nulla che viviamo ogni giorno: "Mi chiama al fisso per cortesia? Così l'ascolto meglio". In arrivo a Rieti oggi, mercoledì 15 dicembre, presso il locale "Le Tre Porte" di via della Verdura, il regista presenterà alle ore 18 il suo ultimo libro "L'alta fantasia", edito da Solferino e frutto di oltre vent'anni di studi danteschi. Federico Fellini gli ha aperto la strada del cinema, Lucio Dalla quella del jazz. E quella della scrittura? "Sono anni che scrivo - risponde Avati - non conto neanche più i libri. All'inizio il mio approccio era del tutto cinematografico, praticamente scrivevo quasi fedelmente ciò che sarebbe diventato un film. Dalla mia autobiografia in avanti invece ho capito che un romanzo mi dava l'opportunità di ampliare: un film è condizionato dal budget, il libro no. Per capirci, se in una pagina scrivo di duemila cavalli, l'editore non dice nulla, mentre il produttore si spaventa: e come li paghiamo duemila cavalli?" Dell'ultima fatica editoriale, il regista va fiero: "Mi hanno chiesto dall'Università di Tor Vegata di utilizzarlo per i corsi, avere un valore didattico è gratificante". Il suo poetico viaggio fino al convento delle clarisse di Ravenna, dove la figlia di Dante Alighieri si è fatta monaca, per consegnarle un risarcimento per l’esilio ingiustamente subito dal padre, si legge soave e pregno di vita vissuta, in perfetto stile Avati. E la sua intuizione di far parlare Boccaccio appare singolare: "L'idea di vedere Dante con gli occhi di Boccaccio permette di evitare un mio rapporto diretto con il Poeta, posso dunque arrivare a lui in modo non accademico. In ogni caso non ho inventato nulla, tutti conoscevano questa storia, ma nessuno l'ha utilizzata". Un libro già diventato film, che vedremo nella sale il prossimo anno con Sergio Castellitto nei panni del protagonista, "un attore di grande sensibilità che certamente avrebbe saputo trasmettere affetto e passione, e risarcire dunque in qualche modo quel poveretto di Dante". Sulla sua nota capacità di individuare il volto giusto, Avati divide il merito con il fratello Antonio: "Lavoriamo insieme, spesso è lui ad aiutarmi. Non mi piacciono gli attori usati e poi dimenticati, oppure utilizzati male, senza valorizzarne tutte le qualità". Il regista ci vede lungo e va oltre generi e schemi convenzionali; basti pensare alle interpretazioni di Neri Marcorè o Vanessa Incontrada, sue piacevolissime scoperte sciolte dai vincoli dei tempi televisivi, oppure allo struggente Renato Pozzetto in "Lei mi parla ancora", che fuori dal cliché della comicità si è rivelato un superbo attore drammatico "non credeva manco lui di esserne capace".
Il Messaggero