Rieti, proiettili e minacce: ipotesi di reato archiviata per gli indagati

Tribunale
RIETI - Quei proiettili, accompagnati da pesanti minacce, contenuti in buste inviate nel febbraio del 2013, avevano suscitato grande tensione, non fosse altro perché i...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
159,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
79,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA
ANNUALE
79,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
159,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 6 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
RIETI - Quei proiettili, accompagnati da pesanti minacce, contenuti in buste inviate nel febbraio del 2013, avevano suscitato grande tensione, non fosse altro perché i destinatari erano l’allora sindaco di Poggio Mirteto, Fabio Refrigeri («Verrai bruciato vivo»), e il commissario prefettizio alla Provincia, Giancarlo Felici, («Stai molto attento a quello che fai e guardati le spalle, brutto ladrone»). Stesso trattamento (minacce e pallottole), in precedenza, era stato riservato all’architetto Letizia Sergola («Questa è per il primo avvertimento, la seconda ti verrà piantata in fronte»), tecnico del comune di Poggio Mirteto, e all’assessore all’Urbanistica Roberto Marcelli («Se non espatri entro dicembre ogni giorno è buono per piantarti una pallottola nel cuore»). Frasi inquietanti, che avevano portato carabinieri e procura a indagare per estorsione aggravata tre componenti della famiglia D’Alessandri (Luigi, 87 anni, i figli Amedeo Angelo, 57 anni, e Stefano, 58 anni), titolari della ditta per l’estrazione di materiale inerte dalla cava di San Domenico, a Salisano (difesi dall’avvocato Marco Bonamici), nei cui confronti l’ipotesi di reato è stata però archiviata dal giudice delle indagini preliminari su richiesta del pubblico ministero: i sospetti su di loro - che il gip Pierfrancesco de Santis definisce «fortissimi» perché erano gli unici a nutrire rancori nei confronti delle vittime - non si sono tramutati in prove e in un processo l’accusa non sarebbe stata sostenibile.


LE TAPPE

Un impianto al centro di uno scontro, iniziato nel 2009 tra amministrazione e cavatori, a causa della mancata proroga dell’autorizzazione, sfociato, nel 2012, in un sequestro penale e, nel 2015, nella condanna in tribunale della ditta a pagare 86mila euro di sanzioni al Comune mirtense. Prima ancora, Luigi e Amedeo, accusati di aver minacciato tecnici e agenti della polizia locale, erano stati condannati a sette mesi (pena sospesa per il padre). Insomma, non proprio un clima idilliaco, fino a quando padre e figli erano stati indicati dagli stessi destinatari delle buste anonime, durante gli interrogatori condotti dai carabinieri, come i possibili responsabili, e per questo erano stati indagati, perquisiti e intercettati. Le indagini avevano portato solo al sequestro di due buste, simili a quelle usate per spedire le pallottole, ma non della macchina da scrivere, appartenente a un altro componente della famiglia D’Alessandri (estraneo ai fatti), usata per compilare i fogli di carta sui quali, però, il Racis non aveva rilevato le impronte digitali degli indagati. Lo strumento, riparato da un tecnico a ridosso dell’invio delle ultime due lettere a Refrigeri e Felici, era stato però rottamato prima della perquisizione. Ma, secondo il gip, il mancato rinvenimento riveste solo un valore di «alta suggestività indiziaria», senza costituire una prova di colpevolezza. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero