RIETI - Quei proiettili, accompagnati da pesanti minacce, contenuti in buste inviate nel febbraio del 2013, avevano suscitato grande tensione, non fosse altro perché i...
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LE TAPPE
Un impianto al centro di uno scontro, iniziato nel 2009 tra amministrazione e cavatori, a causa della mancata proroga dell’autorizzazione, sfociato, nel 2012, in un sequestro penale e, nel 2015, nella condanna in tribunale della ditta a pagare 86mila euro di sanzioni al Comune mirtense. Prima ancora, Luigi e Amedeo, accusati di aver minacciato tecnici e agenti della polizia locale, erano stati condannati a sette mesi (pena sospesa per il padre). Insomma, non proprio un clima idilliaco, fino a quando padre e figli erano stati indicati dagli stessi destinatari delle buste anonime, durante gli interrogatori condotti dai carabinieri, come i possibili responsabili, e per questo erano stati indagati, perquisiti e intercettati. Le indagini avevano portato solo al sequestro di due buste, simili a quelle usate per spedire le pallottole, ma non della macchina da scrivere, appartenente a un altro componente della famiglia D’Alessandri (estraneo ai fatti), usata per compilare i fogli di carta sui quali, però, il Racis non aveva rilevato le impronte digitali degli indagati. Lo strumento, riparato da un tecnico a ridosso dell’invio delle ultime due lettere a Refrigeri e Felici, era stato però rottamato prima della perquisizione. Ma, secondo il gip, il mancato rinvenimento riveste solo un valore di «alta suggestività indiziaria», senza costituire una prova di colpevolezza. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero