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RIETI - Quando si parla di Felice Rufini non si sa da dove iniziare, perché è difficile dire dove finisce il ristoratore e dove inizia lo scultore, o viceversa. Un interrogativo all’infinito a cui fatica a rispondere anche l’interessato, titolare del noto ristorante “La Piazzetta” che si affaccia sulla piazza del vecchio ospedale, ma anche artista noto a livello nazionale e che vanta un eccellente curriculum, testimoniato dalla partecipazione a prestigiose esposizioni e dalla pubblicazione di numerose opere su importanti cataloghi e annuari, come quello del Premio internazionale Vittorio Sgarbi o l’inserto speciale dell’annuario internazionale di arte contemporanea “Artisti ‘21”, su testi ancora di Sgarbi o di Philippe Daverio.
Il ristoratore. Come buona regola bisogna cominciare... dall’inizio: cioè dal 1982, quando Felice aveva 24 anni, anno in cui fu rilevato il locale. Idea per niente improvvisata poiché il nonno di Felice aveva un passato da cuoco, ha lavorato pure nelle cucine della Forestale, mentre la moglie Eugenia è diplomata presso l’istituto alberghiero. «Il periodo precedente al 2000 ci è servito per fare esperienza – spiega Felice – per crearci una identità.
L'artista. Felice non lo ammetterà mai, ma probabilmente alla domanda iniziale se venga prima il ristoratore o l’artista, darebbe d’istinto la seconda risposta. Poi, giustamente, sottolinea che «la prima attività dà stabilità e tranquillità per dedicarmi alla scultura», per poter seguire un istinto sviluppato sin da giovane e perfezionato negli anni. Felice è infatti un artista istintivo, spontaneo, e per questo preferisce che siano le sue opere a parlare al posto suo, anche se, durante la chiacchierata davanti a un’ottima gricia, ricorrono spesso i termini «primordiale, mitologico, visionario». Felice infatti non è, come suol dirsi, un artista figurativo: lo spiega bene l’Enciclopedia d’Arte Italiana descrivendo uno scultore che «non appartiene a una specifica corrente artistica ma che esplica, mnemonicamente l’emotività oltre la natura oggettuale, puntando a un’astrazione rappresentativa plastico-surreale». Rufini non ha studiato tecniche particolari, è autodidatta: «ho imparato molto rubando con gli occhi», osservando tanti colleghi per poi rielaborarne tecniche e idee.
«Tra l’altro – confessa – durante il biennio della pandemia ho avuto tanto tempo per dedicarmi alla scultura». Rufini ormai è assai noto a livello nazionale e le sue opere, esposte in tante mostre – tra le più prestigiose quelle a villa Lysis a Capri o alla ex Fornace sui Navigli a Milano – iniziano a essere discretamente quotate. «Ma non così tanto da viverci», si schernisce con modestia Felice che, tornando al ristorante, sta meditando come festeggiarne il quarantennale: «la pandemia ci ha un po’ distratti, ma adesso è giunto il tempo di studiare qualcosa». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero