Rieti, dopo la condanna per l'omicidio emergono zone con degrado sociale da affrontare

Vicolo Barilotto nel 2017
RIETI - I 27 anni di condanna inflitti al 29enne Alessandro Di Giambattista per l’omicidio del 68enne reatino Enrico Andrea Piva - morto nel rogo della propria...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
159,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
79,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA
ANNUALE
79,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
159,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 6 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

RIETI - I 27 anni di condanna inflitti al 29enne Alessandro Di Giambattista per l’omicidio del 68enne reatino Enrico Andrea Piva - morto nel rogo della propria abitazione in vicolo Barilotto - sono anche una dolorosa ferita che si apre violentemente su una città che non vede e silenziosamente volta le spalle. Una tragica storia fatta di tanti protagonisti - la cerchia di persone che frequentava casa Piva - tutti diversi, ma tutti uguali nei loro panni di “ultimi”, confinati negli angoli in ombra della società, divisi tra fragilità e atteggiamenti antisociali. Un dramma che ha covato a lungo nel moderno disagio, alimentandosi dell’ordinaria quotidianità di persone problematiche con manifesti segnali di comportamenti disadattivi. È questo lo strappo di una realtà tanto più inquietante poiché vissuta nella normalità di un centro storico cittadino del rione San Francesco, sotto la luce del sole, con una scuola superiore a due passi - un liceo peraltro - e attività commerciali limitrofe.

La situazione


Legami interpersonali che, protetti dalle mura di casa Piva, si sono trovati e allacciati tra anime bisognose di aiuto e che nel tempo si sono saldati e in virtù della loro diversità dal mondo parallelo cosiddetto “normale”, ergendo una barriera difficilmente accessibile fatta di una solidarietà a modo loro dove lo specchio sono state le testimonianze contraddittorie e reticenti ascoltate in aula. Connivenza, complicità e mutuo soccorso avevano, di fatto, creato una sorta di socialità da branco dove poi la rottura anche di un piccolissimo equilibrio ha fatto crollare l’intero sistema solidale con le conseguenze tragicamente finite in cronaca. Una quotidianità confusa con un vissuto di routine e normalità fatta di espedienti, piccoli furti, solitudine, silenziose richieste di aiuto. Eppure di normale all’interno della casa di Piva - dove bivaccavano e vivevano con modalità parassitarie troppe persone - non c’era davvero nulla. Contesti di degrado e bisogno di cui nessuno si è occupato se non il giorno dopo: quello buono per porre domande e tentare di dare delle risposte, quando ormai non servono più. Servizi sociali e assistenza in generale, non si collochi solo in relazione ad anziani, persone con dipendenze o sostegno economico ma scandagli anche negli angoli bui più prossimi. Il condannato è uno solo, Di Giambattista, ma i correi cui calzerebbe a pennello una condanna per questa brutta storia sono molti: a cominciare dagli enti preposti, gli organi di riferimento locali, le istituzioni territoriali e cittadine fino a quanti sapevano, vedevano. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero