RIETI - I 27 anni di condanna inflitti al 29enne Alessandro Di Giambattista per l’omicidio del 68enne reatino Enrico Andrea Piva - morto nel rogo della propria abitazione in vicolo Barilotto - sono anche una dolorosa ferita che si apre violentemente su una città che non vede e silenziosamente volta le spalle. Una tragica storia fatta di tanti protagonisti - la cerchia di persone che frequentava casa Piva - tutti diversi, ma tutti uguali nei loro panni di “ultimi”, confinati negli angoli in ombra della società, divisi tra fragilità e atteggiamenti antisociali. Un dramma che ha covato a lungo nel moderno disagio, alimentandosi dell’ordinaria quotidianità di persone problematiche con manifesti segnali di comportamenti disadattivi. È questo lo strappo di una realtà tanto più inquietante poiché vissuta nella normalità di un centro storico cittadino del rione San Francesco, sotto la luce del sole, con una scuola superiore a due passi - un liceo peraltro - e attività commerciali limitrofe.
La situazione
Legami interpersonali che, protetti dalle mura di casa Piva, si sono trovati e allacciati tra anime bisognose di aiuto e che nel tempo si sono saldati e in virtù della loro diversità dal mondo parallelo cosiddetto “normale”, ergendo una barriera difficilmente accessibile fatta di una solidarietà a modo loro dove lo specchio sono state le testimonianze contraddittorie e reticenti ascoltate in aula.