Dal Cicolano alla Sardegna: le migrazioni dei pastori che hanno contribuito al successo del Pecorino Romano in Italia

Dal Cicolano alla Sardegna: le migrazioni dei pastori che hanno contribuito al successo del Pecorino Romano in Italia
RIETI - Il Pecorino è Romano per eccellenza, ma nella sua lunga tradizione troverebbero un posto di rilievo anche i mastri casari reatini, forse tra i primi a produrlo in...

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RIETI - Il Pecorino è Romano per eccellenza, ma nella sua lunga tradizione troverebbero un posto di rilievo anche i mastri casari reatini, forse tra i primi a produrlo in Sardegna già  dalla fine dell‘800. A sostenerlo spunta uno studio, risalente al 2017, di Settimio e Veronica Adriani ed Elisa Morelli, presentato nel 32esimo Congresso Geografico Italiano a Roma.



Un fenomeno complesso, quello ricostruito dai i tre, che si sono serviti di testimonianze orali e documenti d’archivio risalenti all’8 e al ‘900 per ricostruire il processo migratorio dei casari dal Cicolano alla Sardegna. Pagine di vita vissuta in una terra amara, che da sempre conserva una riconosciuta tradizione casearia come anche altre zone dell’Alto Lazio. E proprio le difficili condizioni di vita in quel territorio spingevano i pastori e mastri casari a spostarsi: prima verso i caseifici delle coste laziali e poi verso quelli sardi. Così le usanze e le tradizioni pastorali del Reatino viaggiavano oltremare, forse influenzando la produzione dei formaggi isolani, tra cui anche quella del Pecorino Romano: diversi sarebbero stati infatti i caseifici sardi gestiti da pastori transumanti provenienti dalla provincia reatina.

Dai primi del ‘900 fino agli anni ’80, quando Fausto Adriani andava in pensione: era l’ultimo casaro reatino rimasto in Sardegna al servizio della Galbani di Chilivani, in provincia di Sassari. «Questo fenomeno di migrazione delle maestranze del Cicolano verso la Sardegna è stato importante per l’economia del nostro territorio, ma spesso poco considerato nei processi di storicizzazione delle dinamiche rilevanti – conclude il prof. Settimio Adriani – Il fatto che questa storia sia a lungo stata custodita solo dalla memoria orale l’ha messa a rischio di cadere nell’oblio, al pari di quanto avvenuto per altre questioni come il poetare in rima, la transumanza, i rapporti uomo-lupo e i giochi di strada e di osteria. La memoria dei casari transumanti si è salvata soltanto grazie ai processi di raccolta restituzione e patrimonializzazione venuti dal basso». 


Difficile stabilire le esatte dimensioni e conseguenze del fenomeno, ma non è da escludere che nella storia di uno dei prodotti più amati della Penisola possa esserci un tocco tutto reatino. E con una dose di sano provincialismo, viene da chiedersi se sia stato proprio questo a fare la differenza. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero