Rieti, scarichi illegali: condannato a 5 mesi di arresto Andrea Ferroni

Andrea Ferroni
RIETI - Acque reflue industriali scaricate in quantità eccessiva nelle reti fognarie e senza le necessarie autorizzazioni da parte del Comune: nuovo processo in Corte di...

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RIETI - Acque reflue industriali scaricate in quantità eccessiva nelle reti fognarie e senza le necessarie autorizzazioni da parte del Comune: nuovo processo in Corte di Appello per Andrea Ferroni, presidente del Consorzio industriale Rieti-Cittaducale, condannato nelle scorse settimane in tribunale a cinque mesi di arresto e tremila euro di ammenda per aver violato le norme del codice ambientale, dopo il ricorso presentato dal collegio difensivo contro la sentenza emessa dal giudice monocratico di Rieti, Ilaria Auricchio. Decisione arrivata in seguito alle analisi condotte dall’Arpa Lazio nell’ambito di una serie più ampia di controlli tesi a verificare la situazione degli scarichi industriali nella provincia reatina. Gli accertamenti tra il 2014 e il 2015 avevano riguardato anche il Consorzio presieduto da Ferroni.


In particolare, tra gli elementi raccolti, emergeva quello di molte aziende operative all’interno del nucleo che scaricavano nell’impianto fognario non solo acque chiare, ma anche sostanze e materiali industriali inquinanti, destinati a finire in corsi d’acqua come il fosso Ranaro.

Secondo il rapporto inviato in procura dal tecnico Angelo Martinelli, lungamente interrogato come testimone, le cui conclusioni hanno trovato riscontro negli atti di indagine, l’ente era stato ripetutamente messo al corrente della situazione di irregolarità in cui versava, ma ogni segnalazione era stata ignorata. In particolare, il superamento di alcuni limiti di concentrazione fissati dalla tabelle era stato registrato in tre diversi sopralluoghi (maggio, agosto e settembre) effettuati in due punti di scarico (linea Terminillo zona nord est e Asm), durante i quali i tecnici dell’agenzia regionale per l’ambiente avevano prelevato, alla presenza di rappresentanti dell’Asi, dei campioni, il cui esame aveva confermato l’eccesso di idrocarburi riversati nell’impianto di depurazione. Una condotta valutata come dolosa anziché colposa, e della quale è stato chiamato a risponderne penalmente il presidente, nella sua veste di rappresentante legale.


Da parte sua, la difesa (avvocati Attilio Ferri e Ermanno Mancini), oltre a eccepire l’inutilizzabilità dei campionamenti e delle relative analisi, ha contestato, attraverso le deposizioni rese dai funzionari dell’ufficio tecnico del Consorzio e sulla base di una consulenza di parte, le conclusioni alle quali era giunta l’Arpa, sostenendo che non c’era alcun motivo di chiedere al Comune l’autorizzazione per gli scarichi in quanto la rete fognaria era stata realizzata congiuntamente dai due enti, ma il giudice Auricchio, richiamando precise norme giurisprudenziali, ha ribadito il contrario e la necessità per l’ente consortile di dotarsi del necessario nullaosta. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero