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RIETI - Depositate le motivazioni della sentenza sul crollo della palazzina di piazza Sagnotti I ad Amatrice, la notte del sisma del 24 agosto 2016 e che causò la morte di sette persone. Il dispositivo era stato pronunciato dal giudice monocratico Sabatini a settembre con formula pienamente assolutoria (perché il fatto non sussiste) nei confronti dei cinque imputati: l’ex sindaco Sergio Pirozzi, il direttore-progettista dei lavori Ivo Carloni e i tecnici Giovanni Conti, Maurizio Scacchi e Valerio Lucarelli, tutti accusati di disastro colposo e omicidio colposo plurimo. Per la Procura il crollo fu determinato da una inadeguata opera di risanamento di uno “spanciamento angolare” dell’edificio verificatosi dopo il sisma del 2009.
Le valutazioni. Chiaro il giudice al riguardo che ha valutato, prima di tutto, la classificazione dell’intervento stesso (adeguamento sismico, miglioramento, riparazione o intervento locale) «in quanto la specifica tipologia delle opere implicava gli ambiti delle conoscenze e dei ruoli necessari». «Gli elaborati - nel convincimento del giudice - confermano la congruità tra il tipo di problematica emersa e tipo di intervento progettato. Tra l’altro il punto di congruità tra le esigenze emerse dopo il sisma del 2009 e quanto progettato, va del resto valutato anche alla luce delle univoche indicazioni della committenza che aveva esplicitamente stabilito, con tassativa indicazione a fare lo stretto necessario per un immediato ritorno alle proprie abitazioni, venendo così esclusa ogni altra possibile soluzione di maggiore portata per aumento dei costi e allungamento dei tempi».
La posizione dell'ex sindaco. Per quanto riguarda la posizione di controllo dell’ex sindaco Pirozzi - accusato di aver consentito o non impedito il ritorno in casa degli inquilini dopo l’ordinanza di sgombero licenziata dal suo predecessore Fedeli, post sisma aquilano - il giudice ha così motivato l’assoluzione: «il “dies ad quem” di cessazione dell’ordinanza di sgombero era implicito nel provvedimento stesso in cui appunto si collegava l’ordine di abbandono al permanere delle condizioni di pericolosità, la cui eliminazione consentiva il rientro senza necessità che vi fosse nuovo esercizio di potere discrezionale dell’Ente.
Il progettista. Per quanto riguarda la posizione del progettista-direttore dei lavori, Ivo Carloni il giudice monocratico ha precisato – rispetto agli addebiti contestati – che Carloni «aveva ricevuto tassativa richiesta da parte della committenza a svolgere quanto strettamente necessario. Si trattava di una riparazione locale e tale era stata presentata agli enti preposti che così l’avevano autorizzata (da qui le assoluzioni anche per Scacchi, Lucarelli e Conti) e di tale portata locale dell’intervento i condomini erano bene a conoscenza. Deve ritenersi che l’adozione di quella tipologia di intervento ebbe l’effetto proprio e corretto di ripristinare lo status quo ante». Per il giudice la riparazione locale «non può ritenersi avere avuto un qualunque effetto diretto sulla stabilità dell’immobile tanto che lo stesso consulente della Procura ha ritenuto indimostrato che da tale porzione sia derivato il crollo. Non è neanche dimostrato che in capo a Carloni vi fosse un obbligo di imporre alla committenza altro e ben più costoso intervento non richiesto dal condominio».
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