Nessuna sorpresa per la frattura tra Europa e Stati Uniti su Gerusalemme. Preoccupazione, invece, per la spaccatura interna all’Unione, con tre Paesi del gruppo di Visegrad...
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L’ISOLAZIONISMO
Già, perché l’isolazionismo di The Donald offrirebbe su un piatto d’argento all’Europa la possibilità di farsi valere. «Tuttavia questo è il momento peggiore nella migliore occasione possibile per l’Europa di dimostrarsi unita», sintetizza Castellaneta. «Oggi l’Unione è attraversata dai populismi e dilaniata da tendenze centrifughe a Est col gruppo di Visegrad, a Ovest con la Brexit. L’Europa potrà riunirsi solo se Germania e Italia riusciranno a darsi un governo stabile e se tutti riusciranno a superare gli egoismi nazionali». Del resto la frattura tra le coste dell’Atlantico non è una novità assoluta. «Basta guardare alla storia della diplomazia statunitense», sottolinea il nostro ex ambasciatore negli Usa. «Un orientamento isolazionista è all’origine della fondazione degli Stati Uniti: l’indipendenza ruppe il cordone ombelicale con la madrepatria». Castellaneta cita la dottrina Monroe della prima metà dell’800 con gli Usa concentrati sul proprio “cortile di casa”. L’intervento nella Seconda guerra mondiale è arrivata solo sulla scia del tragico attacco a sorpresa di Pearl Harbour. L’isolazionismo ha «sempre serpeggiato negli Stati Uniti, sostenuto dai movimenti evangelici, da una cultura americana anglosassone che vede gli altri come viziosi. Ma proprio le basi morali e le qualità degli Stati Uniti li hanno portati alla fine a dare il meglio di sé e contribuire a pace, stabilità e diritti umani». Perciò Castellaneta invita a guardare al domani. Trump si sgancia dalla corrente principale della politica internazionale e lascia «più spazio a Russia e Cina nelle rispettive aree di interesse, mentre l’Europa avrebbe una chance per mostrarsi compatta e costituire un terzo polo». Questa frattura potrà esser superata con uno scatto in avanti della diplomazia europea, con una ripresa d’iniziativa di una Europa finalmente compatta.
LE TAPPE DEL DISTACCO
Le tappe del distacco americano dal mondo sono state ricordate da Charles A. Kupchan, già consigliere per la sicurezza nazionale Usa 2014-2017, oggi professore di relazioni internazionali alla Georgetown University. Cioè: gli appelli al protezionismo, la cancellazione del Transpacific Partnership, le polemiche con la Germania della Merkel (che ha ricambiato invitando gli europei a «prendere in mano il proprio destino»), l’uscita dagli accordi di Parigi sul clima, il ripudio dell’intesa nucleare con l’Iran, e Gerusalemme capitale. «All’orizzonte non c’è un mondo senza Occidente, ma un Occidente senza l’America. L’Europa – dice Kupchan – non ha altra scelta che guardare oltre questa presidenza. Il trumpiano “America first” significa in realtà “America only”». Non “prima l’America”, ma “solo l’America”. Eppure, per Castellaneta gli Usa hanno una capacità di influire «che va al di là del singolo presidente. Trump ha soltanto reso le relazioni internazionali più nette, separando amici e nemici».
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Il Messaggero