«Lo faccio finire peggio del giudice Falcone. Lo farei diventare il tonno buono». Era il dicembre del 2013 e il boss mafioso Totò Riina chiacchierava in carcere...
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Negli ultimi mesi il Capo dei capi era apparso prima sulla barella e poi, più di recente, aveva rinunciato a presenziare alle udienze del processo trattativa. Ma Di Matteo aveva ribadito: « Riina è lucido e orientato nel contesto. Abbiamo depositato in segreteria la relazione di servizio di un agente penitenziario su alcune esternazioni in carcere del boss. In concomitanza dell'udienza del 30 marzo scorso del processo sulla trattativa Stato-mafia, Riina aveva parlato dei rapporti tra Ciancimino e Licio Gelli, dei suoi rapporti con Provenzano e della morte dell'ex vice del Dap, Francesco Di Maggio», aveva detto nel corso del dibattimento il pm Nino Di Matteo. Neppure la malattia ha mai scalfito il boss mafioso, considerato fino a ieri il numero uno di Cosa nostra. Pochi mesi fa, Riina, intercettato mentre parlava con la moglie, Ninetta Bagarella, aveva detto: «Io non mi pento ... a me non mi piegheranno». «Mi posso fare anche 3000 anni, no 30 anni», aveva detto ancora, per dimostrare la sua forza vitale. A gennaio, il capo dei capi si era anche detto disponibile a rispondere alle domande dei pubblici ministeri; poi, qualche giorno dopo, ci ripensò. Nei mesi corsi il capo dei capi si era anche detto disponibile a rispondere alle domande dei pubblici ministeri; poi, qualche giorno dopo, ci ripensò e non se ne fece più niente.
Una vita all'insegna della violenza, quella di Totò Riina.
Il Messaggero