Il ministero dell'Economia è stato «inerte», ha sottovalutato i rischi legati ai contratti derivati sottoscritti con la banca Morgan Stanley. Si è...
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La contestazione riguarda la «negligenza» e l'«imperizia» del Mef nell'inserimento nel contratto con la banca di una specifica clausola di uscita anticipata dai derivati, l'Ate, e nel pagamento a Morgan Stanley, che ne rivendicava l'attuazione, di 3,1 miliardi di euro, proprio nel momento di maggiore difficoltà economica del Paese, a fine 2011. Il Mef non avrebbe contrastato in nessun modo la pretesa della banca, avrebbe affidato la gestione del debito a un organico inadeguato e non avrebbe previsto alcuna garanzia collaterale al contratto. Secondo gli avvocati difensori del Ministero, invece, la scelta di trattare a lungo e in modo paritario in base a contratti e clausole legittime e utilizzate di prassi a livello internazionale, è stata una scelta oculata. Non perseguirla, «avrebbe provocato la devastazione del mercato finanziario, l'immediata e istantanea perdita di fiducia degli operatori finanziari nella Repubblica italiana, l'esodo degli operatori del debito pubblico e il crollo dell'economia, con effetti irreversibili e devastanti», ha spiegato Antonio Palmieri, uno dei difensori di Maria Cannata.
Le parti sotto accusa hanno ribadito che l'Ate, così come il tipo di derivato sottoscritto con l'opzione "swaption", era stato previsto esplicitamente da un decreto dell'allora ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, e da una circolare di Mario Draghi, direttore generale di Via XX Settembre.
Il Messaggero