Gran parte dei cittadini ritiene che il referendum sia un’arma politica nelle proprie mani per decidere se qualcosa va bene o va male, se si è d’accordo con una...
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Il referendum di domani, invece, sa di imbroglio. Perché il suo contenuto è tutt’altro che chiaro e rilevante in quanto si dovrebbe decidere se proseguire con l’estrazione del gas e petrolio fino all’esaurimento dei giacimenti, oppure se interrompere a metà strada le sole concessioni che si trovano entro 12 miglia. In pratica 47 milioni di elettori dovrebbero andare alle urne per ciò che il vecchio saggio Totò avrebbe chiamato bazzecola, quisquilia o pinzellacchera.
La verità sotto la questione referendaria è tuttavia un’altra. Quelli che invitano a votare, ed a votare per il “sì”, lo fanno solo in minima parte per avversione alle trivelle. Sono in realtà sospinti da quei partiti e quelle correnti di partito che mirano ad una prova generale di voto contro il governo.
Una prova generale con il pretesto di sommare, per così dire, le mele con i fichi e le pere con le fragole, tanto per fare massa d’urto. Quali motivazioni comuni avrebbero i 5 stelle e i gruppi sindacali radicali, i partiti di destra e la sinistra del Partito democratico, gli amici del panda e gli amici di Berlusconi? La semplice risposta è che poco importa se il referendum non raggiunge, come è probabile, il quorum del 50% dei votanti, ma è importante che vi sia qualche milione di elettori che faccia un atto dimostrativo “contro”. A parer nostro in democrazia è non solo legittimo ma anche importante che a fronte del governo vi sia un’opposizione che cerchi di sostituirsi alla maggioranza. Ma nel referendum di domani lo schieramento per il “Sì” non ha a cuore l’abolizione delle trivelle né si fa portatore di un progetto politico degno di questo nome, bensì si presenta come un insieme di gruppi variegati che usa strumentalmente il voto referendario con il pretesto dell’ambientalismo.
D’altronde il quorum di validità del 50% degli elettori ha una logica stringente.
Il Messaggero