Referendum stravolto giochi nascosti dietro al voto

di Massimo Teodori
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Sabato 16 Aprile 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 00:08
Gran parte dei cittadini ritiene che il referendum sia un’arma politica nelle proprie mani per decidere se qualcosa va bene o va male, se si è d’accordo con una legge o se, invece, vale la pena di mobilitarsi per abrogarla. Per questo il referendum abrogativo - previsto dall’articolo 75 della Costituzione - è uno strumento potente che, per essere valido, richiede il voto di almeno la metà degli aventi diritto. Non è un caso che hanno superato il quorum, e quindi sono stati validi, i referendum che chiamavano a decidere su quesiti chiari, importanti e comprensibili: volete voi confermare o abrogare il divorzio? Siete favorevoli o contrari alla scala mobile?
Il referendum di domani, invece, sa di imbroglio. Perché il suo contenuto è tutt’altro che chiaro e rilevante in quanto si dovrebbe decidere se proseguire con l’estrazione del gas e petrolio fino all’esaurimento dei giacimenti, oppure se interrompere a metà strada le sole concessioni che si trovano entro 12 miglia. In pratica 47 milioni di elettori dovrebbero andare alle urne per ciò che il vecchio saggio Totò avrebbe chiamato bazzecola, quisquilia o pinzellacchera. 
La verità sotto la questione referendaria è tuttavia un’altra. Quelli che invitano a votare, ed a votare per il “sì”, lo fanno solo in minima parte per avversione alle trivelle. Sono in realtà sospinti da quei partiti e quelle correnti di partito che mirano ad una prova generale di voto contro il governo.

Una prova generale con il pretesto di sommare, per così dire, le mele con i fichi e le pere con le fragole, tanto per fare massa d’urto. Quali motivazioni comuni avrebbero i 5 stelle e i gruppi sindacali radicali, i partiti di destra e la sinistra del Partito democratico, gli amici del panda e gli amici di Berlusconi? La semplice risposta è che poco importa se il referendum non raggiunge, come è probabile, il quorum del 50% dei votanti, ma è importante che vi sia qualche milione di elettori che faccia un atto dimostrativo “contro”. A parer nostro in democrazia è non solo legittimo ma anche importante che a fronte del governo vi sia un’opposizione che cerchi di sostituirsi alla maggioranza. Ma nel referendum di domani lo schieramento per il “Sì” non ha a cuore l’abolizione delle trivelle né si fa portatore di un progetto politico degno di questo nome, bensì si presenta come un insieme di gruppi variegati che usa strumentalmente il voto referendario con il pretesto dell’ambientalismo.
 
D’altronde il quorum di validità del 50% degli elettori ha una logica stringente.
I cittadini possono abrogare una legge che è passata al vaglio del parlamento, solo se effettivamente c’è una maggioranza di elettori che è in disaccordo con quel che hanno votato i loro rappresentanti istituzionali. Immaginate quale paradosso si verificherebbe se nel referendum di domani andasse a votare il 50%+1 dei 47 milioni di elettori – diciamo 23,500 milioni – di cui il 50% +1 – diciamo 11,750 milioni - si dichiarasse favorevole all’abrogazione. Sarebbe il trionfo della minoranza del 25% della popolazione che imporrebbe la sua volontà al restante 75% cancellando ciò che è stato legittimamente deciso. La scelta dell’astensione, perciò, non è solo un diritto legittimo di ciascun elettore ma anche una scelta razionale per difendersi da chi vuole usare in maniera distorta l’arma del referendum abrogativo. 
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