Pirati della strada, Asaps: «Uso di un prestanome deve essere aggravante omicidio»

Pirati della strada, Asaps: «Uso di un prestanome deve essere aggravante omicidio»
«Non è più accettabile che in Italia ci si faccia beffa delle leggi per uccidere sulle strade e non si vada subito in galera, quando poi a perdere la vita...

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«Non è più accettabile che in Italia ci si faccia beffa delle leggi per uccidere sulle strade e non si vada subito in galera, quando poi a perdere la vita è una giovane di 28 anni la rabbia é ancora maggiore». Giordano Biserni, presidente dell' Asaps-Associazione sostenitori della Polstrada, interviene su un caso scoperto dalla Polizia Municipale di Roma Capitale: un veicolo che due giorni fa ha provocato la morte di una ragazza, che era alla guida di un'altra vettura, e il cui conducente è fuggito era intestato ad un prestanome, «a uno di quei tanti soggetti che per pochi euro vendono i documenti personali che permettono l'intestazione fittizia anche di 400 veicoli ad una sola persona, grazie al cosiddetto "mini-passaggio". A bordo però - commenta Biserni - ci sono criminali anche senza scrupoli che utilizzano le auto per spostarsi sul territorio, senza assicurazione e revisione e per commettere altri reati come furti, rapine, danneggiamenti ai bancomat per impossessarsi delle banconote fuggendo con questi mezzi».


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Secondo l' Asaps, che si appella ai nuovi ministri dell'Interno, Salvini, e dei Trasporti, Toninelli, «l'utilizzo di un veicolo intestato ad un prestanome deve diventare aggravante per i reati di omicidio stradale e lesioni personali stradali, e l'elenco dei prestanome deve diventare da subito disponibile all'interno del Pubblico Registro Automobilistico a cui afferiscono i blocchi anagrafici disposti da alcune Procure, come sta facendo ad esempio quella di Milano. Il lavoro di Forze di Polizia e Polizie Locali sarebbe così più semplice e facilitato. Questi veicoli creano nuovi pericoli sulle strade e vanno fermati senza indugio con nuovi strumenti legislativi. Quante altre tragedie dovremo attendere?».
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Il Messaggero