Pd diviso si rifugia nella scheda bianca. Renzi avverte: «Adesso tocca a loro»

Pd diviso si rifugia nella scheda bianca. Renzi avverte: «Adesso tocca a loro»
Astensione. E' la linea decisa dal Pd per l'elezione dei presidenti delle Camere. Sicuramente per il Senato, dove i più avvertiti hanno capito subito che la scelta...

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Astensione. E' la linea decisa dal Pd per l'elezione dei presidenti delle Camere. Sicuramente per il Senato, dove i più avvertiti hanno capito subito che la scelta dem è di fatto un aiutone al centrodestra per favorire l'elezione del loro candidato, il forzista Paolo Romani. Votando scheda bianca, si indebolisce il fronte dei contrari e si favorisce quelli che votano a favore del candidato. «In questo passaggio cruciale chiedo l'unità del partito, per poter partecipare alle trattative in maniera unitaria e fattiva», l'appello di Maurizio Martina alla prima assemblea dei parlamentari dem tenutasi alla Camera, assente Matteo Renzi.


Non c'è stato dibattito, solo aggiornamento a questa mattina. Al termine si è incaricato Matteo Orfini di dettare la linea in una sola riga: «Il Pd non vota Romani, ci asteniamo con scheda bianca». Con una battuta alla toscana del pratese Antonello Giacomelli a Martina: «Finora si considerava forlaniano Guerini, ma dopo avere ascoltato te lo hai superato». Una battuta, certo, ma che si può leggere anche come un richiamo all'ordine, nel senso di avvertire il reggente di non spingersi troppo oltre, annacquandola, la linea dell'opposizione decisa in direzione e sulla quale Renzi e renziani restano attestati. «Tocca a loro», ha scritto Renzi nella sua e-news, «tocca al M5S e al centrodestra, uno è il primo partito, gli altri sono la prima coalizione, noi faremo opposizione responsabile, ma sempre opposizione». E in questa chiave va letta la visita che in mattinata Luca Lotti ha fatto al Nazareno a Martina («sto andando a incontrare il boss», ha detto sorridendo ai giornalisti).

LA BATTAGLIA
All'ombra delle tattiche parlamentari sulle presidenze, nel Pd si sta combattendo il prolungamento della battaglia per superare secondo alcuni, per sotterrare secondo altri, il renzismo. Con gli uni, gli anti renziani, che sostengono come con l'opposizione per l'opposizione «Renzi porti il Pd a sbattere, all'isolamento», mentre il Pd, benché bastonato nelle urne, «può svolgere una funzione», può «incalzare gli altri», «giocare la propria partita», insomma «può influire sulle scelte e avere un peso». In questa chiave, finanche la candidatura solo ipotizzata, se non sussurrata, di una presidenza della Camera a Dario Franceschini, è stata letta più come un gesto di scontro interno al Pd che come una risorsa, una conquista. Il motivo lo spiega un renziano di prima cerchia: «E' chiaro che se il centrodestra vota Franceschini significa che in cambio il Pd permette la nascita di un governo di centrodestra, certo non a guida Salvini, ma comunque di centrodestra rispetto al quale si asterrà, dà la non sfiducia o cose similari tutte volte a farlo decollare. Ma noi non possiamo permettercelo, chiaro?». Anche a costo di votare contro Franceschini? «Se la posta è quella...», conclude il renzianissimo allargando le braccia. «Il Pd può giocare un ruolo, può pesare, l'importante è far decantare la situazione, e vedrete, anche l'elezione dei capigruppo sarà unitaria, per acclamazione», dice a sua volta Walter Verini.

Fatto sta che sui capigruppo è in corso un duro braccio di ferro. A Luigi Zanda, che ha bocciato di fatto Andrea Marcucci al Senato dicendo che l'accoppiata con Guerini «sarebbe troppo all'insegna della continuità con il renzismo», i renziani replicano imbracciando il pallottoliere come una lupara e elencando questi numeri: al Senato sarebbero 32 su 55, alla Camera 71 su 113. «Vogliono andare alla conta, si accomodino, ma rischiano grosso, la linea di stare all'opposizione è l'unica», la sfida della renzianissima Alessia Morani.

L'ACCOPPIATA

Sicché quando Marcucci va via dalla Camera dopo un colloquio con Giacomelli, appare soddisfatto e risollevato, per l'elezione dei capigruppo i renziani tengono l'accoppiata Guerini-Marcucci. «La perplessità di Marcucci è solo quella di dover guidare un gruppo con dentro Renzi», chiosava scherzando un renziano gigliato.

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Il Messaggero