Parroco di Kamisli: «In atto un genocidio contro i cristiani»

Parroco di Kamisli: «In atto un genocidio contro i cristiani»
Città del Vaticano “Sì, è in atto un genocidio dei cristiani. Non ci sono altre parole per definire quello che da cinque anni in qua sta...

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Città del Vaticano “Sì, è in atto un genocidio dei cristiani. Non ci sono altre parole per definire quello che da cinque anni in qua sta accadendo”. Antranik Ayvazian, è un prete cattolico armeno del nord-est della Siria, di una parrocchia che inizia dal confine iracheno fino al confine turco. Terra bagnata dal sangue. Ad Antranik, in questi giorni a Roma per preparare il viaggio del Papa in Armenia, certe sottigliezze linguistiche non entrano proprio in testa. “Dopo i cinque anni di guerra dichiarata contro la Siria ci sono già due cittadine completamente, ripeto completamente, vuotate di cristiani, Al Bukamal e Deir es Zor. Prima vivevano lì diverse comunità cristiane. La persecuzione dell'Isis e l'accanimento contro i cristiani ha costretto tutti a scappare. L'Isis ha distrutto tutto. Case, chiese, il nostro ospedale a Deir es Zor. Tutto”.


Padre Antranik si rammarica di come le continue morti di civili, migliaia di donne e bambini, le esecuzioni di massa che ci sono state, non riescano a fare breccia nell'opinione pubblica occidentale. “Eppure se accadesse la stessa cosa alla minoranza ebraica, ecco che ne parlerebbe pure Ban Ki Moon. E invece per i cristiani tutto passa quasi in secondo piano. Il fatto è che ci sentiamo isolati. Abbandonati. Lei mi chiede se si tratta di un genocidio.. Beh, signori, cos'altro è? Andate a leggervi la definizione giuridica adottata dall'Onu nel 1948”.

L'Isis secondo lei è invincibile?

“Per chi vive come me in quelle zone, sentire parlare di alleanza contro l'Isis suona bizzarro. Spesso noi ci chiediamo perché nessuno ha ancora pensato a tagliare le comunicazioni, basterebbe che gli Stati Uniti spegnessero per qualche ora i satelliti, strumenti preziosi per le comunicazioni dei miliziani del califfato. Insomma, ci chiediamo se per caso ci prendono per scemi. Purtroppo nessuno ci ascolta...”

Da dove arrivano tante disponibilità finanziarie?

“Lo sanno pure i sassi. Arabia, Qatar, emirati del Golfo. Il Qatar fa il trasporto delle armi dirette alla Libia, e da lì arrivano in Turchia. La Turchia ha 998 chilometri di confine in comune con la Siria. A volte si tratta di confini permeabili. Ma possibile che nessuno si chieda come sia possibile che l'Isis utilizzi 9 mila jeep Toyota, ultimo modello. Insomma da dove arrivano, dal cielo? Naturalmente tutti zitti, perché la Turchia è alleata della Nato. Dalle nostre parti si sono visti anche tanti giovani ceceni. Io li ho visti con i miei occhi”.

Anche loro miliziani dell'Isis?


“Sì e anche loro sono pagati molto bene per abbattere le costruzioni e per tirare giù tutte le cose che si muovono. Esattamente così mi è stato detto. Purtroppo si dice che anche la Georgia abbia giocato un ruolo non bello. Perché i ceceni arrivano proprio da lì”.  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero