ROMA Hatim Dawod non molla, ora vuole giustizia, anzi prima serve verità. Il padre di Mariam Moustafa, la 18enne italiana di origine egiziana picchiata il 20 febbraio da un...
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Cosa le ha detto Mariam prima di perdere coscienza?
«Che l’hanno avvicinata in strada mentre stava facendo compere, chiamandola black rose, lei ha risposto il mio nome è Mariam ma hanno iniziato a colpirla, botte, spinte, è scappata sull’autobus ma l’hanno inseguita anche lì: “Non abbiamo finito” dicevano. Pugni in faccia senza nessun motivo mi ha raccontato. Era con Pablo, un amico spagnolo del Gambia, che non ha saputo difenderla e non si dà pace».
Conosceva quelle ragazze?
«No, anche se Nottingham è piccola come Ostia, dove abbiamo vissuto fino a 4 anni fa. Due di loro l’avevano già aggredita ad agosto, stavolta pare fossero in sei. Un gruppetto molto forte, robuste, anch’io non ce la farei a difendermi con loro».
Si è chiesto il motivo di tanta violenza?
«A Londra ci sono questi gruppi che fanno vedere quanto sono forti e postano video delle loro bravate per mettere paura agli altri».
Oggi è in programma un vertice in Procura a Roma, si vuole accertare se il movente sia razzista.
«Potrebbe, non escludo nulla, quando la incontravano le facevano la mossa con la mano, Allah Akbar, le dicevano tu sei musulmana ma io credo siano solo delle balorde. Oppure, sa, il razzismo è anche del nero che odia il bianco. Noi siamo molto aperti, gli amici miei e dei miei figli sono di ogni colore e religione, le mie figlie non portano il velo. E Mariam non aveva problemi con nessuno, voglio sapere perché se la sono presa con lei».
Vuole sapere molto altro...
«Sì, perché l’autista quando è svenuta non ha chiamato la polizia, perché i medici non l’hanno tenuta in osservazione, eppure Mariam ha detto loro: “Mi hanno menato, mi sento molto male, ho problemi al cuore, aiutatemi”. E ancora: perché l’ambasciata italiana non ha avvisato la polizia, come pure l’ospedale. Si è perso tempo, si è parlato di lei solo quando è morta. Nessuno ci ha aiutato».
Tra l’altro è stata dimessa dopo due ore e mezza contro il suo volere
«Un servizio di me... scusi il termine. Piangeva, aveva dolori alla testa e alla pancia, non posso andare a casa diceva. L’hanno mandata via alle due di notte, non so quanto ha sofferto, la sorella si è svegliata e l’ha vista gelata, blu, la bocca storta. L’ambulanza è arrivata dopo un’ora. Si è perso altro tempo, il medico mi ha detto: “purtroppo tua figlia deve subire un intervento al cervello, mi spiace, hanno rovinato la parte destra, forse non si ricorderà niente».
Dopo tante altre operazioni alla fine Mariam si è spenta.
«Soffriva di atresia polmonare, appena nata era stata operata al Bambino Gesù a Roma per un problema al cuore. Ma faceva una vita normale, si sarebbe salvata se avessero capito la gravità in tempo. “Papà mi hanno menato di brutto questi animali, non so perché mi stanno facendo così male“».
Due del gruppo ad agosto già avevano preso di mira Mariam e la sorella.
«Le avevano rotto una gamba, mentre Mallak aveva il viso rovinato dai graffi: perché stavano giocando in un giardino e volevano starci solo quelle due. Animali».
Il 24 febbraio vi hanno lanciato uova contro la porta.
«Per metterci paura, sono andato a sporgere denuncia. Ora voglio giustizia, non mi serve niente altro, avevo fatto di tutto per darle la vita a Mariam. Devono pagare, vanno fermate, altrimenti lo faranno ad altri. La gente deve andare sicura in strada. Ma tutto il sistema in Inghilterra è sbagliato. Sei abbandonato, anche le denunce alla polizia vanno fatte on line».
Tre figli nati a Roma, una pizzeria a Ostia, un mobilificio a Fiumicino, poi la crisi e la decisione di andar via.
«Amavamo l’Italia ma la vita è diventata difficile, sono venuto qui per dar loro un futuro migliore. Invece ho scoperto su youtube che Mariam a ottobre aveva pubblicato un video che sembra un testamento: “soffro tanto ma non mi aiutano”». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero