La conversione è a 180 gradi. Non esce da un congresso, non è stata discussa dagli attivisti e per ora non è passata neanche dalle assemblee del gruppo...
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Il passaggio non è da poco. Ipotizza una correzione di rotta, un cambio di strategia. Un sì al governissimo. Un altro segnale che il Movimento dopo la scomparsa del fondatore Gianroberto Casaleggio sta cambiando pelle. Prima l'allargamento del Direttorio affiancato da un nuova struttura, un comitato di saggi allargato ai fedelissimi della Casaleggio & associati. Con la possibilità che entrino a farne parte anche i sindaci, Appendino in primis. Una organizzazione sempre meno orizzontale, più simile un partito che ha un Movimento creato dal basso ad alto contenuto di democrazia digitale. Poi la fine dell'isolamento forzato, la possibilità di fare alleanze. Fino a ieri un tabù.
Ieri per il direttorio è stata la giornata della controffensiva mediatica. Ecerte uscite non possono essere frasi dal sen fuggite. Dibba ospite di Otto e mezzo, su La7, alla domanda specifica: «Sosterrete un governo di scopo? ha risposto: «Dipende, qualora vincesse il No il giorno dopo valuteremo». E Di Maio: «Io ho rispetto delle funzioni istituzionali, sarà il presidente della Repubblica a decidere se il governo dovrà andare avanti o invece no come i cittadini si aspettano. Non abbiamo fatto in passato governi di scopo in passato ma valuteremo».
PASSO INDIETRO
Il vuoto lasciato da Casaleggio ha cambiato le gerarchie interne. Nel Direttorio e fuori dal direttorio in molti sgomitano per trovare spazio. Chi fino a ieri ubbidiva agli ordini di scuderia oggi vuol comandare e si atteggia a stratega. Ancora ieri Di Battista ha negato qualsiasi dualismo, confermando però che il candidato premier «lo sceglierà la Rete così come abbiamo fatto con il presidente della Repubblica». E ha fatto anche, diciamo, un passo indietro, «credo che Luigi abbia qualità che io personalmente non ho, per esempio la capacità di gestione». Poco dopo Di Maio, ospite a sua volte di Politics su RaiTre, ha ricambiato ringraziandolo pubblicamente.
Ma al di là della reciproca espressione di amorosi sensi, i due avevano deciso la linea da tenere domenica pomeriggio in un incontro privato. Entrambi in qualche modo si ritengono responsabili di quanto è accaduto a Roma. Di Maio per aver sottovaluto la mail in cui Taverna lo informava che l'assessore Paola Muraro era indagata. Dibba per aver sponsorizzato la Raggi, averla portata in palmo di mano in campagna elettorale, presentata a Casaleggio con tanto di credenziali, e poi essersene andato in giro per l'Italia coast to coast nella sua campagna anti referendaria. Agli occhi del Movimento il centauro grillino ha tradito la sua città, si è defilato. Tanto da fare anche lui mea culpa «se mi fossi preso certe responsabilità forse ne sarei uscito ammaccato anch'io».
Sarà un caso, ma in tv hanno accettato l'invito gli unici esponenti del direttorio più miti verso la Raggi. La Ruocco, Fico e Sibilia hanno preferito tenersi a distanza di sicurezza dalle telecamere. Evitare risposte scomode, ipocrisie, dire cose che in cuor loro non pensano. Altri che in tv ci sarebbero invece andati - molti senatori ad esempio - non hanno potuto perché non avevano il via libera dell'ufficio di comunicazione. Ma questa non è una notizia.
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Il Messaggero