Doveva rimanere privato, era stato girato per un contest interno dell'azienda. Poi ha iniziato a girare su WhatsApp, finendo in breve su Facebook e Twitter, dove è...
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Sì, perché se alcuni, pochi, hanno gridato al genio del marketing o si sono fatti una risata, la maggior parte degli utenti social hanno messo alla gogna la direttrice della filiale, Katia Ghirardi e i suoi colleghi. Una vessazione da cui sono nati meme, hashtag e prese in giro pesanti. C'è chi, trincerandosi dietro una tastiera e magari da chilometri e chilometri di distanza, ha chiesto le dimissioni della direttrice. Dalle risate si è passati in poco tempo a osservazioni sull'aspetto fisico, o a inviti poco educati a rinchiudere tutti in un manicomio, fino addirittura alle minacce di morte.
Epic fail, così si chiamano i tentativi fallimentari di buttarsi sui social. Il video spot di Intesa Sanpaolo è certamente uno di quei casi, ed è solo l'ultimo in ordine di tempo. Post volontari o involontari che finiscono sulla Rete, e che poi vengono presi di mira dal popolo social. Di spot così ce ne sono molti, alcuni riusciti, altri meno. Tra i più recenti c'è quello del Buondì Motta, in cui una mamma viene colpita da un'asteroide. O veri e propri scivoloni, come lo spot della Melegatti: «Ama il tuo prossimo come te stesso... basta che sia figo e dell'altro sesso», si leggeva nello slogan della discordia. O come la campagna del ministero della salute sul Fertility Day: consigli non richiesti e discutibili sulla fertilità. Spesso l'importante è che se ne parli: l'obiettivo è già raggiunto. L'accanimento diventa più pesante se in gioco ci sono persone, invece che enti o aziende. Lo sanno bene i politici o i vip, per cui ogni uscita social viene passata ai raggi x. Quasi mai però c'era stato un accanimento come nel caso Intesa Sanpaolo. Forse perché i dipendenti di Intesa Sanpaolo di Castiglione delle Stiviere sono persone comuni e non attori, o grandi aziende, o politici. Perché più vicini, più riconoscibili. Più facili da odiare, nella nuova logica della Rete. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero