Tutte ancora da valutare cause ed eventuali responsabilità dell'incidente di Carrara, con la frana di un costone nella cava di marmo del bacino di Colonnata, ma il...
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Da queste parti, le Alpi Apuane le chiamano «le montagne che scompaiono»: cime mozzate, crinali incisi, discariche minerarie. Spaccate, erose, frantumate per cavare non solo il marmo più pregiato, ma anche gli scarti di lavorazione usati in diversi settori dell'industria. In termini di volumi estratti, il Cai stima che per ogni tonnellata di marmo in blocchi vengano distrutte dieci tonnellate di montagna. Un'attività che ogni anno «mangia» 4 milioni di tonnellate di montagna, circa un milione e mezzo di metri cubi. L'industria del marmo qui ha dato vita, negli anni, a 765 cave, circa 150 quelle attive (di cui una settantina all'interno del Parco Regionale Alpi Apuane.
Negli ultimi 20 anni, nelle Apuane si è scavato più che in 2000 anni di storia delle cave. Il risultato? La modificazione del territorio apuano è paragonabile a quella avvenuta in un'era geologica. Ma a scontrarsi qui ci sono, da una parte, gli interessi imprenditoriali (compresi quelli dei Bin Laden), dall'altra le ragioni ambientaliste. Le cave vengono date in concessione dai Comuni (Massa, Carrara, i Comuni della Versilia, della Lunigiana e della Garfagnana) e sono in mano a poche famiglie - denunciano le associazioni - che si sono arricchite con questo business. Tra queste, la famiglia Bin Laden che nel 2014 ha acquistato il 50% della Marmi Carrara, che ha la concessione per circa un terzo delle cave di marmo bianco delle Apuane, pagando 45 milioni di euro alle quattro famiglie proprietarie.
Ad accaparrarsi il 50% della Marmi Carrara è così la Cpc Marble & Granite Ltd, con sede a Cipro, appartenente al gruppo della famiglia del terrorista saudita fondatore di al-Qaida. Secondo il «Rapporto Cave 2014» di Legambiente, oggi il Comune di Carrara incassa dal marmo 15 milioni di euro l'anno: una bella cifra che però sarebbe 2-3 volte superiore se venissero introdotte modifiche a un regolamento, quello degli agri marmiferi, che impone canoni slegati dal valore di mercato del materiale estratto e permette di fatto la totale esenzione per circa un terzo delle cave oggi considerate praticamente private.
Insomma, il marmo di Carrara non è considerato un bene comune ma arricchisce pochi.
Il Messaggero