Un papa pop, ma con marchio coperto da copyright. O, almeno, con un'attenzione particolare a tutelare l'immagine e il buon nome di una religione che ha più di...
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I SIMBOLI
A Roma, il mercato di gadget di ogni forma e misura collegati alle immagini della chiesa è ovviamente florido e la stragrande maggioranza dei prodotti finisce nei negozi o sulle bancarelle, senza alcuna autorizzazione da parte della Chiesa. Del resto, libere da tutela sono sia l'immagine del papa, sia - ovviamente - quella del Cupolone. Sul sigillo papale presente e passato e sul quello che rappresenta la città santa (variazioni dell'immagine delle chiavi incrociate sormontate dalla tiara), però, il Pontefice ha deciso di porre una tutela e di non transigere più sui tanti abusi. Non per soldi, ma per preservare il valore religioso collegato a questi simboli che finiscono su apribottiglie, grembiuli, fazzoletti e così via. Qualche tempo fa, papa Francesco ha affidato l'incarico di seguire la vicenda allo studio Gentiloni Silverj che anche in passato si è occupato degli interessi della Chiesa.
Ed è stato poi lo stesso procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, a dare indicazione al comandante provinciale della Guardia di finanza, Cosimo Di Gesù, perché avviasse accertamenti ad ampio raggio. E, ora, sono arrivate le prime condanne nei confronti di due persone di nazionalità cinese, titolari di un negozio pieno zeppo di immagini papali con sede alle spalle della stazione Termini. La pena è di 4 mesi per introduzione nello stato e commercio di prodotti con segni falsi, aggravata dalla sistematicità. Nel verbale di sequestro si parla di circa 15mila pezzi contraffatti: «Magneti riportanti l'immagine di papa Francesco e lo stemma della città del Vaticano, n.1550, stickers, n.1406, piatti n.31, cornici n.7, matite n.574, scatole in plastica porta rosari recanti n. 648 stemmi di papa Francesco e 648 con lo stemma della città del Vaticano». Ma i successivi controlli hanno portato a trovare altre novemila matite, tremila apribottiglie e più di duemila piatti.
GLI ALTRI CASI
Di casi del genere, ne sono stati denunciati parecchi altri: un magazziniere in zona Trionfale, italiano, è indagato per import export di materiale che include, oltre agli apribottiglia, scudi in stoffa, grembiuli da cucina e tazze, sempre «senza le necessarie autorizzazioni». Anche nel suo negozio c'erano circa seimila pezzi con gli stemmi dei papi, considerati contraffatti. È stato del resto il titolare, a confermare: «Non ero al corrente che gli stemmi dei vari Pontefici fossero registrati».
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Il Messaggero