MILANO Un benefattore misterioso per la tomba di Hina. Aveva solo vent’anni Hina Saleem, pakistana che da tempo viveva in Italia con la famiglia, quando venne attirata con...
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TESTA VERSO LA MECCA
Il primo appello l’ha lanciato il fratello ventottenne Suleman, che con la madre Bushra e il resto della famiglia vive a Lumezzane. Stanno in quindici in un appartamento, fratelli sorelle, moglie e parenti vari. «Vogliamo onorare Hina con una tomba vera», prometteva Suleman. «Lavoro solo io, questo è il problema. Mancano i soldi, ma ogni mese risparmio quello che posso per costruire a Hina una lapide vera. In marmo». Dopo l’arresto e la condanna del padre a trent’anni di carcere è lui il punto di riferimento dell’affollato gruppo familiare. Ma il tempo è passa e i soldi non sono mai abbastanza, così per la giovane pakistana dopo la morte è arrivato l’oblio. A sgozzarla dopo averla colpita ventotto volte con la lama di un coltello è stato il padre Mohammed, aiutato da due cognati dopo averla attirata in una villetta di Ponte Zanano, piccola frazione della bresciana Sarezzo. Poi è arrivato anche uno zio per aiutare a seppellirla nell’orto di casa, con la testa rivolta verso la Mecca e il corpo avvolto in un sudario. Una condanna a morte eseguita dal clan familiare che aveva deciso di punirla per aver scelto abiti e comportamenti troppo occidentali ed essersi fidanzata con un ragazzo italiano e per di più non musulmano, senza il permesso dei genitori.
MATRIMONIO IN PAKISTAN
Proprio in quei giorni il padre e la madre volevano portarla in Pakistan per sposare l’uomo che loro avevano scelto per la figlia e che lei naturalmente non aveva mai visto.
Il Messaggero