Fermo, l'ultrà omicida punta sulla legittima difesa: «Il nigeriano mi ha buttato a terra», la vedova: «Non è vero»

Fermo, l'ultrà omicida punta sulla legittima difesa: «Il nigeriano mi ha buttato a terra», la vedova: «Non è vero»
«Libia, Libia, no paura». Ore 15.10 di martedì scorso, pieno centro di Fermo. Sono le ultime parole di Emmanuel Chidi, una risposta orgogliosamente africana al vergognoso...

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«Libia, Libia, no paura». Ore 15.10 di martedì scorso, pieno centro di Fermo. Sono le ultime parole di Emmanuel Chidi, una risposta orgogliosamente africana al vergognoso «Africans scimmia», l'insulto dell'ultrà di Fermo che nel giro di pochi minuti scatena la zuffa poi finita nel sangue con la morte del richiedente asilo di 36 anni sotto gli occhi della moglie Chinyery.

Lo riferisce a verbale Amedeo Mancini, il killer oggi in carcere con l'accusa di omicidio preterintenzionale con l'aggravante razziale, ai magistrati che a poche ore dalla morte del suo avversario gli chiedono di ricostruire l'accaduto.
LA CONVALIDA DEL GIP
In attesa della convalida del Gip, attesa per ieri ma spostata a domani (ultimo giorno utile prima della scadenza dei termini), spuntano nuovi particolari dalle carte dell'inchiesta. Mancini racconta che quel martedì pomeriggio con un suo amico aveva deciso di andare al mare e stava attendendo l'autobus in via XX Settembre, nei pressi dell'intersezione con via Veneto. In quel frangente passano tre extracomunitari che li salutano e che proseguono per alcuni metri per poi avvicinarsi ad una vettura che era lì parcheggiata. Mancini sostiene davanti ai Pm di aver visto che i tre toccavano la maniglia della portiera e di aver quindi pronunciato l'insulto odioso: «Africans scimmia». I nigeriani però si allontanano, secondo la ricostruzione dell'aggressore. Dopo alcuni minuti tornano in due: Emmanuel e Chinyery. Si avvicinano ad Amedeo in modo minaccioso, soprattutto la donna che grida.
 

LO SCONTRO
Nel frattempo arriva l'autobus che però Mancini e l'amico non riescono a prendere perché la donna inizia a strattonarli e il pullman quindi riparte. Qui Emmanuel arriva faccia a faccia a Mancini nel suo italiano approssimativo che significa: «Ho visto la morte in faccia in Libia, non temo uno come te». L'uomo di colore a quel punto, sempre stando alla ricostruzione fatta da Mancini, inizia a urlare e a tirare calci e pugni, Mancini ricorda che tira calci e prende un segnale stradale per colpirlo a una gamba. L'ultrà va a terra, Mancini prova a rialzarsi, spostandosi verso l'attiguo belvedere e a quel punto c'è stato un solo pugno che colpisce il nigeriano al viso, come conferma l'autopsia. Emmanuel cade, batte la testa e si procura la frattura con conseguente emorragia che gli costerà la vita. In realtà questa tesi, scaturita dall'autopsia, è apertamente confutata dagli avvocati della moglie della vittima che in una conferenza stampa ieri hanno parlato di «ricostruzione stravolta, era e resta un omicidio razzista, non si può parlare di eccesso di legittima difesa. Mancini voleva colpire».

 
IL DILEMMA

E' il grande dilemma di questa storia che già dalle prime ore alimenta la divisione tra colpevolisti e innocentisti in una crescendo di populismo misto a compassione per la terribile vicenda dei due richiedenti asilo e per il futuro della vedova. Così mentre il dibattito dei social consuma la triste liturgia degli estremismi, torna a parlare sul tema generale il presidente del Consiglio, Renzi : «C'è bisogno di combattere l'odio a tutti i livelli». L'odio «a volte dice il premier - parte dalle forme più banali e in alcuni casi arriva alla violenza vera e propria». Questo è «l'odio di chi a Dacca uccide i nostri connazionali perchè non sanno il Corano, e fa venire i brividi. E di chi, estremista, uccide un ragazzo di colore scappato da Boko Haram nelle Marche».
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Il Messaggero