Un colpo di ramazza a metà. Il nuovo corso del Pd romano prova a lasciarsi alle spalle i «signori delle tessere» e i poteri marci e consociativi che tre anni fa...
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Se Marco Miccoli e Umberto Marroni - vecchi leaderini della sinistra e detentori degli affari di un Pd pieno di debiti e scosso dalle inchieste - si fanno e vengono fatti da parte, c'è chi appunto rimane. Anzi, viene premiato: è il caso di Claudio Mancini, capolista alla Camera a FrosinoneLatina, nonostante sia imputato per la vicenda dei rimborsi facili in Regione all'epoca della Polverini. Ma dove non è arrivata l'opportunità politica, ci ha pensato, appunto Orfini. E forse proprio per salvare i Turchi, non più tanto Giovani, alla fine sono rimaste fuori personalità e competenze più pesanti nel Pd. E ora anche i big rischiano: è il caso per esempio della gentiloniana Lorenza Bonaccorsi, in corsa nel collegio uninominale di Roma 3 e al proporzionale a Rieti-Viterbo (in posizione complicata). In questo caos dei dem romani la parola d'ordine è si salva chi può. Le sorprese non mancano. A Fabrizio Panecaldo, capogruppo uscente in Campidoglio, era stato promesso uno scranno alla Camera per la gestione del caso Marino (fu lui a guidare le truppe dal notaio) ma è rimasto a bocca asciutta: «Ritenta, sarai più fortunato». Tra i dem del Cupolone sta per iniziare la resa dei conti. Basterà aspettare il 5 marzo: la pattuglia parlamentare, nella migliore delle ipotesi, sarà dimezzata in linea con gli assetti nazionali. Per una ramazzata a metà? Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero