A niente sono valse le reiterate richieste di appello per revocare la sentenza di condanna a morte: Motiur Rahman Nizami, 73 anni, capo del Jamaat-el-Islam, principale partito...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Il leader islamico non si è mai piegato all’evidenza storica e all’esito della Guerra di secessione che nel 1971 vide fronteggiarsi l’India e il Pakistan dell’Est, da una parte, e il Pakistan dell’Ovest, dall’altra, conclusasi dopo nove lunghi mesi con l’indipendenza del Pakistan dell’Est (divenuto Bangladesh) e un bilancio – stimato – di quasi tre milioni di civili uccisi. Nel corso del processo che lo ha visto imputato per crimini di guerra, Nizami ha ribadito più volte che la sua opposizione all’indipendenza è stata sempre e solo ideologica (in quanto capo del partito Jamaat-el-Islam) e di non aver preso parte a stragi di massa.
Niente a che vedere, quindi, con l’ala giovanile del movimento politico, composta da militanti violenti e sanguinari, trasformati da Nizami – a detta dell’accusa – in vere “squadre della morte”, responsabili dell’uccisione di professori, scrittori e giornalisti. «Quando è divenuto chiaro che il Pakistan avrebbe perso la guerra – ha dichiarato il procuratore Mohammad Ali – Nizami, in qualità di capo e sulla base di un elenco di obiettivi da colpire, ha ordinato di sequestrare e uccidere i principali intellettuali del paese. L’obiettivo era mutilare dal punto di vista culturale il nascente stato».
L’impiccagione dell’ideologo fa ora temere in una nuova escalation di violenze nel paese a maggioranza sunnita, dove la convivenza tra vari gruppi etnici, separati da differenze sociali e religiose, è sempre più precaria; negli ultimi anni, infatti, ci sono state numerose uccisioni di attivisti laici e liberali e di membri delle minoranze religiose da parte di probabili militanti islamisti. È dal 2013, poi, che i principali leader dell’opposizione vengono giustiziati, dopo processi che hanno attirato biasimi trasversali, per crimini commessi durante il conflitto del ’71; Nizami è solo il quinto in ordine di tempo – il quarto appartenente alla formazione Jamaat-el-Islam. Intanto il partito prova a mobilitare il suo popolo in tutto il paese, convocando per domani manifestazioni di protesta per denunciare un’esecuzione ritenuta ingiusta, basata su accuse false e motivata dall’intento di decapitare la guida del movimento islamico. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero