Apple incassa una prima vittoria in tribunale nel braccio di ferro con l'amministrazione Obama sulla privacy digitale: affrontando un caso di droga, un giudice federale di New...
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Ma per il legale di Apple, Ted Boutrous, «non è preciso per l'Fbi parlare di un singolo caso», come del resto hanno rivelato i media americani, collezionando almeno una dozzina di episodi analoghi. Una situazione, ammette lo stesso Boutros, che potrebbe far finire la vicenda davanti alla Corte Suprema, ora paralizzata da un perfetto equilibrio tra giudici repubblicani e democratici dopo la morte di Antonin Scalia. Nel frattempo, però, il legislatore dovrebbe intervenire, come ha auspicato il giudice di New York nella sua sentenza, passando la palla al Congresso. «Come bilanciare al meglio questi interessi è una questione di importanza cruciale per la nostra società e la necessità di una risposta diventa ogni giorno più urgente, perchè i progressi tecnologici oltrepassano i confini di ciò che sembrava possibile anche alcuni decenni fa», scrive il giudice James Orenstein.
«Ma il dibattito deve aver luogo oggi, e deve avvenire tra i legislatori che sono attrezzati a considerare le realtà tecnologiche e culturali di un mondo che i loro predecessori non potevano neppure iniziare a concepire», prosegue. Ma alla fine, sottolinea, la questione a cui rispondere «non è se il governo dovrebbe essere in grado di costringere la Apple a sbloccare uno specifico apparecchio ma se la legge 'All Writs act' - che risale a 227 anni fa e che regola i decreti che una corte può emettere per attuare la sua giurisdizione, ndr - risolva questo problema e molti altri analoghi in futuro». Per Orenstein non lo risolve, e quindi la Apple non è obbligata ad aiutare l'Fbi contro la sua volontà. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero