Alfano: «Berlusconi liquidi i lepenisti. Un nuovo partito dei moderati»

Alfano
Il divorzio di Forza Italia da Salvini crea lo spazio per far nascere un centrodestra liberale, popolare, moderato». Angelino Alfano guarda con grande interesse ai movimenti...

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Il divorzio di Forza Italia da Salvini crea lo spazio per far nascere un centrodestra liberale, popolare, moderato». Angelino Alfano guarda con grande interesse ai movimenti in corso nell’“altro” centrodestra e ritiene «inevitabile» il divorzio tra lepenisti e popolari, e, in questo caso, di potersi ritrovare «prima o dopo le politiche» di nuovo con Silvio Berlusconi, anche se in un contenitore nuovo, «se deciderà definitivamente di non andare dietro gli estremisti».


Dopo il divorzio di Firenze da parte di Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Giovanni Toti, cosa cambia per il centrodestra, ministro?
«Si accelera un percorso che mi è sempre sembrato irreversibile. Sono nate delle formazioni estreme e radicali. Una di queste è quella guidata da Marine Le Pen e ad essa che fanno riferimento Salvini e la Meloni. Berlusconi invece ribadisce la propria adesione al Ppe che ha come principale avversario, in questo momento, non la famiglia socialista e democratica - che anzi del Ppe è alleata nella Commissione Ue, per eleggere i vertici dell’Europarlamento e in molti governi europei - bensì proprio queste formazioni radicali. Quindi o Forza Italia perde la propria identità liberale, popolare e moderata, perde nella sostanza l’appartenenza a quella grande famiglia europea, o perde il rapporto con Salvini. E’ difficile tenere insieme tutte e due le cose. Sta a FI scegliere, ma sono sicuro che la scelta diventerà inevitabile. Noi la nostra scelta l’abbiamo già fatta, stiamo nel Ppe e collaboriamo come fanno tanti del Ppe con riformatori come Renzi al cui partito noi non aderiamo, infatti ne abbiamo uno nostro, ma con cui condividiamo programmi e obiettivi. Se la scelta di FI e del presidente Berlusconi dovesse essere quella di non andare dietro agli estremisti, ci potremmo ritrovare sulle stesse posizioni. Si vedrà se ciò avverrà - in questo caso - prima o dopo le elezioni politiche».

Questa possibile riunificazione dipende anche dalla legge elettorale con cui si andrà a votare?
«Un’intesa sulla legge elettorale potrebbe aprire questo cammino anche prima delle elezioni politiche».

Il fatto che Berlusconi caldeggi una legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza e sbarramento non ostacola questo progetto?
«Bisogna entrare nel merito per capire esattamente cosa significhi la proposta di Berlusconi, ma potrebbe anche semplificare».

E l’esito del referendum costituzionale come potrebbe influire su questa ricomposizione dei moderati?
«Sarebbe facilitata dalla vittoria del Sì, perché questa farebbe nascere un grande polo “positivo” di coloro i quali vogliono offrire ragionevoli soluzioni ai problemi e si mettono contro quelli capaci solo di urlare l’elenco dei problemi».

Ma Berlusconi ha già detto di essere impegnato a fare campagna per il No, come si concilia questo con l’avvio di un dialogo tra voi?
«Lui ormai lo ha detto e lo farà, sosterrà il No. Io però sono dell’idea che con FI si possa trovare un terreno comune sulla riforma elettorale».

Potreste convergere sulla richiesta di proporzionale anche voi?
«La nostra proposta di modifica dell’Italicum punta a inserire il premio di coalizione e cancellare il ballottaggio. Ma sono convinto che più in generale un accordo dell’area di governo con FI potrebbe favorire la nascita di un’aggregazione liberale, moderata, popolare, esattamente com’è in Francia. Dove, oltre alla Le Pen che è ben più forte e credibile di Salvini, c’è spazio per Sarkozy e Juppe con il loro partito che era l’Unp e ora si chiama I Repubblicani. Ecco, io sono convinto che esista uno spazio anche in Italia tra il Pd di Renzi e gli estremisti lepenisti. Occorre far nascere un nuovo soggetto perché le singole forze da sole non sono in grado di occuparlo. Questa è la prospettiva a cui lavoro da tempo. Se il divorzio di Firenze sarà definitivo, si può aprire una grande occasione per i moderati italiani».

Insomma, di nuovo insieme lei e Berlusconi nello stesso partito?
«Sì, se ci fossero le condizioni per far nascere un nuovo partito che non prevede il fatto né che qualcuno aderisca al nostro né che noi aderiamo al suo, ma che si faccia insieme una grande aggregazione di centrodestra liberale, popolare, moderata. Distinta e anzi in competizione con la Lega estremista».

Alleati o avversari, a quel punto, del Pd di Renzi?
«Si potrebbe correre in proprio alle elezioni. Questa forza politica dovrebbe sfidare estrema destra e sinistra. Ma per far questo ci vuole visione, generosità e soprattutto non sbagliare l’avversario che in questa fase è rappresentato dagli estremisti, si chiamino essi M5S o Salvini. Due anni e mezzo fa ci sono state le elezioni Ue mentre Berlusconi faceva parte del patto del Nazareno e noi avevamo già rotto con lui. Il risultato fu questo: il 17% FI, il 6 la Lega, il 4,4 noi. Noi siamo rimasti alle percentuali di allora. La somma FI-Lega rimane sempre il 23%. Ma dopo che Berlusconi in questi anni si è messo con Salvini anziché collaborare con un’area riformatrice, quei 23 punti sono divisi a metà tra FI e Lega. Un grande regalo a Salvini, che se nascesse la formazione politica che ho in mente io, potremmo riprenderci per intero».

Lei ha detto da tempo che anche se dovessero vincere i No, Renzi non dovrebbe dimettersi. Ma che scenario immagina in tal caso?
«E’ la Costituzione a dettare la linea. E ci dice che i governi possono cadere in due sole maniere: o se il capo del governo rassegna le dimissioni, oppure se la maggioranza del Parlamento, in una delle due Camere, lo sfiducia. Io escludo che ci siano i numeri per la sfiducia e sconsiglio al presidente del Consiglio di dimettersi».

Renzi però ha fatto chiaramente capire che non intende restare al suo posto, se dovesse perdere.
«Sarebbe un errore perché significherebbe consegnare all’eventuale No, che io sono convinto non prevarrà, tutto il lavoro che è stato fatto dal governo, come se il governo avesse fatto solo questa riforma e, bocciata questa riforma, non avesse altro da offrire agli italiani».

Invece?
«Noi siamo il governo che ha ridotto le tasse significativamente, ha dato 80 euro in più al mese ai redditi più bassi, ha avuto la capacità di rendere sicuro il nostro Paese in un momento in cui il rischio zero non esiste nel mondo, tanto da veder crescere il turismo del 10% proprio perché l’Italia è percepita come sicura. Siamo un governo che ha fatto la riforma della pubblica amministrazione, la riforma della scuola, che ha eliminato l’art.18. E vogliamo mettere tutto questo nel giudizio sulla riforma costituzionale? No: sarebbe confondere una parte con il tutto. Noi il nostro lavoro l’abbiamo fatto, sarà il popolo a valutare se la riforma va bene o no, ma sarà un giudizio sulla riforma, non sul governo».

C’è chi dice che anche se dovesse vincere il Sì - a maggior ragione, anzi -, a primavera si tornerebbe alle urne. Lei la vede questa tentazione, ministro?
«Non credo, anche perché suppongo sia interesse del premier far beneficiare l’Italia del primo semestre del 2017 che significa anniversario dei Trattati di Roma, a Roma, e G7 a Taormina».

La vittoria di Trump condizionerà il voto referendario?
«No. C’è un provincialismo da parte di Salvini che sta facendo la stessa scena che fece il Pd nel 2008 quando vinse Obama. Allora affissero manifesti festeggiando la vittoria del partito democratico, ma si trattava di quello Usa. Tant’è che poi il Pd, quello italiano, perse Abruzzo e Sardegna, pur avendo vinto secondo loro in Michigan e Ohio. Adesso Salvini fa la stessa sceneggiata con la piccola differenza di avere un partito dell’11% e di essere lui stesso un personaggio che non credo possa essere paragonato a Trump, con la sua storia imprenditoriale e la sua biografia. Non mi risulta che a Milano ci sia una “Salvini Tower”...».

La lettera di Renzi agli italiani all’estero come la valuta? Lei, pur essendo anche leader di Ncd, non ha fatto lo stesso: perché, diverso senso di opportunità o cos’altro?
«Io non l’ho scritta perché, per quanto riguarda il nostro partito, non ho ritenuto necessario farlo. Il Pd l’ha fatto. Ci sono tanti precedenti. E noi dal Viminale ovviamente abbiamo dato a tutti coloro che ci hanno chiesto questi elenchi la stessa opportunità».

Un’ultima domanda, ministro. Come ha valutato la decisione del presidente del Consiglio di togliere la bandiera Ue dal suo studio a Palazzo Chigi? L’ha tolta anche lei al Viminale?

«No, io la bandiera non l’ho tolta perché il punto secondo me è evitare di ammainarla e anzi fare di tutto per rialzarla, sapendo che non sono venuti meno i nostri valori. Ci sono degli egoismi che rischiano di travolgere l’Europa, ma non possiamo rassegnarci alla fine del sogno. E per le mie materie questo significa in primo luogo che l’Ue deve mantenere il patto di prendersi circa 50mila profughi dai nostri centri e redistribuirli negli altri Paesi europei». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero