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Il problema di base è la scarsa conoscenza. «Purtroppo la malattia oncologica viene ancora considerata uno stigma: non si comprende a sufficienza che una persona con diagnosi oncologica può essere ancora attiva e ricoprire anche incarichi pubblici», spiega Elisabetta Iannelli, avvocato e vicepresidente di AIMaC, l'Associazione Italiana Malati di Cancro parenti e amici. Non è solo politica la polemica esplosa dopo le parole del presidente della commissione parlamentare Antimafia Nicola Morra sulla presidente della regione Calabria, Jole Santelli, morta per un tumore e che aveva vinto le elezioni nonostante la malattia fosse nota.
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Anche oncologi, associazioni e malati si sono sentiti toccati nel profondo. E rispondono spiegando non solo che la malattia si può vincere, ma anche che con il cancro si può imparare a convivere e, soprattutto, è possibile conciliare la tutela della salute con il diritto di avere un lavoro.
Le tutele
«Ci sono terapie e trattamenti che permettono di condurre una vita praticamente normale - spiega ancora la Iannelli, che può parlare in prima persona, avendo superato non solo un tumore, ma anche una recidiva con metastasi diffuse - molti superata la fase acuta sono in condizione di cronicità, che anche se comporta più difficoltà, come per esempio terapie continue, non impedisce una vita piena. È chiaro che un impiego pubblico può richiedere risorse aggiuntive, ma è il singolo che sa come regolarsi e quante risorse è in grado di spendere.
Leggi e tutele spesso ci sono, ma sono poco conosciute. Molti malati non dichiarano di avere una patologia oncologica per timore di essere discriminati, o di avere problemi al lavoro. «Rispetto ad anni fa la situazione è cambiata - continua l'avvocato Iannelli - ci siamo impegnati molto per sostenere i malati e renderli consapevoli dei loro diritti. Ma è necessario migliorare l'inclusione lavorativa, perché spesso c'è ignoranza di determinate situazioni. Spesso il datore di lavoro non sa come comportarsi, non sa che esistono norme, anche contrattuali, a sua tutela».
Parole che trovano d'accordo il professor Francesco Cognetti, presidente della Fondazione Insieme contro il cancro: «Insinuare che per un paziente oncologico sia preclusa una competizione elettorale significa cancellare anni di lotta al cancro. Oggi un malato di tumore può e deve svolgere una vita normale di relazione e professionale. Il 54% dei pazienti riesce a superare la malattia e a considerarsi guarito». E pure Giampaolo Tortora, direttore del Comprehensive Cancer Center della Fondazione Policlinico Gemelli di Roma, spiega che «è chiaro che fa una grande differenza lo stadio della malattia e il tipo di tumore, ma solo in Italia ci sono 3,6 milioni di pazienti guariti, che vivono e continuano le loro vite.
È un numero in crescita costante. Anche per chi sta lottando contro la malattia molte terapie consentono di condurre una vita normale e lavorativa». Anche il professor Tortora sottolinea la necessità di sensibilizzare i datori di lavoro, perché alcuni dati sono preoccupanti: «Spesso a parità di esperienza e capacità gli ex malati che stanno cercando un nuovo impiego non vengono chiamati per un secondo colloquio. Ed esistono molti benefici di carattere economico, previdenziale e assistenziale, ma parecchi datori di lavoro non li conoscono».
Smart working
La pandemia da coronavirus, inoltre, ha permesso al Paese di testare con efficacia uno strumento che potrebbe risolvere molte problematiche: lo smart working. «Quando è possibile i pazienti in terapia potrebbero scegliere lavorare da casa - continua Tortora - il problema della presenza fisica al lavoro durante i giorni delicati della chemioterapia potrebbe risolversi». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero