M5S e il voto su Rousseau: si profila una nuova polemica. Perché l’ente terzo di Rousseau in realtà non è terzo ma lavora per l’associazione...
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Secondo quanto spiegato dal patron in persona, oltre alla certificazione del notaio Tacchini, Rousseau si avvale oggi di un ente terzo, dunque, proprio come aveva richiesto il Garante della Privacy che per questo e altri motivi aveva multato la piattaforma, ritenuta insicura e manipolabile, per un totale di 82mila euro. Ma le cose non stanno così, a sentire Marco Canestrari, developer informatico ed ex braccio destro della Casaleggio Associati. Che ha sollevato il caso. Altro che ente terzo. «Quella certificazione sulla sicurezza dell’infrastruttura – dice Canestrari - l’ha rilasciata la stessa società che l’infrastruttura l’ha costruita». Stanno davvero così le cose? Pare proprio di sì.
Perché a darne la conferma al Messaggero è proprio la Sighup srl, ovvero lo stesso “ente terzo” che ieri ha allegato e sottoscritto in coda alla certificazione del notaio, le proprie valutazioni tecniche che attestano come «non ci siano state modifiche all’applicativo» e «nessun accesso non autorizzato». Dopo qualche insistenza, il presidente del Cda di Sighup, Jacopo Raffaele Nardiello, spiega che «la piattaforma l’abbiamo progettata noi, l’abbiamo mantenuta noi e facciamo parte del team che la mantiene perché abbiamo il compito di fare lo screening che avviene sulla base di dati oggettivi proprio come accaduto ieri in presenza di rallentamenti. Trattandosi di una piattaforma critica abbiamo una grande responsabilità». Sicuramente si tratta di un lavoro inappuntabile. Ma riemerge la domanda: Casaleggio può definire «ente terzo» la stessa società che ha progettato l’infrastruttura ed è chiamata a valutarla? «Siamo una terza parte indipendente – risponde Nardiello - noi siamo una delle poche realtà italiane certificate dalla Linux Foundation. Non abbiamo legami politici con la Casaleggio associati ma rapporti prettamente tecnici con Rousseau». Il problema però resta. «Sicuramente sono bravissimi nel loro lavoro – commenta Marco Canestrari – ma chiedere all’oste che ha prodotto personalmente il vino se il vino è buono, non è esattamente il massimo della terzietà». Chissà che cosa ne pensa in merito il Garante della Privacy. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero