Referendum, partiti appesi al verdetto della Consulta: può decidere la legislatura

Anche quest'anno sarà la Corte Costituzionale a scrivere uno dei capitoli chiave della legislatura politica. Mercoledì pomeriggio la Corte esaminerà...

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Anche quest'anno sarà la Corte Costituzionale a scrivere uno dei capitoli chiave della legislatura politica. Mercoledì pomeriggio la Corte esaminerà l'ammissibilità del referendum sull'attuale legge elettorale (sistema misto per due terzi proporzionale) con la quale siamo andati a votare nel 2018. Com'è noto il referendum è stato chiesto da otto Regioni guidate dal centro-destra su pressante richiesta della Lega.


Tecnicamente l'obiettivo del referendum è di eliminare la parte proporzionale dell'attuale legge. Se passasse (ammissibilità a parte, dovrebbe poi superare lo scoglio della partecipazione al voto di almeno il 50% degli aventi diritti al voto) in Italia si voterebbe come in Gran Bretagna ovvero con un maggioritario puro con parlamentari eletti ognuno in un collegio assegnato al nome più votato. Politicamente è evidente lo sforzo della Lega di incidere sulla legislatura. Il referendum è visto come una leva per ottenere elezioni anticipate o comunque per stoppare il proporzionale visto come un peso messo al collo del partito più grande ovvero alla stessa Lega.

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Fin qui lo scenario. Ma che cosa è ipotizzabile che decida la Corte mercoledì? Per farsene un'idea occorre piantare un paletto. La Consulta si è già occupata più volte di referendum sulle leggi elettorali e di referendum e ha fissato un criterio guida: le norme che escono dal referendum devono essere subito applicabili per non privare gli italiani del diritto di voto neanche per un giorno.

La legge attuale prevede 232 collegi uninominali per la Camera e 116 per il Senato. Poiché il referendum ne creerebbe di più (per la sola Camera 630 o 400 se si svolgesse dopo l'entrata in vigore del taglio dei parlamentari) a prima vista sembrerebbe inammissibile. Per disegnare i collegi infatti occorrono mesi.
Chi propone il referendum, però, non la pensa così. E qui la battaglia si trasferisce sul terreno dei cavilli.
Secondo i pro-maggioritario il referendum va indetto perché la legge che taglia i parlamentari, (approvata ma non entrata in vigore perché attende l'altro referendum chiesto da una settantina di senatori) prevede una delega per ridisegnare i collegi. Essendo questa delega non solo perfettamente legale ma viva - sostengono gli avvocati del comitato pro-referendum - potrebbe essere usata dopo l'abrogazione del proporzionale.
Gli avvocati di parte opposta non la pensano così. E dicono: ammesso e non concesso che la delega prevista da un'altra legge possa essere collegata all'esito di questo referendum, essa, secondo la Costituzione, è affidata dal parlamento al governo. Se invece la delega passasse attraverso la strada referendaria sarebbe un altro soggetto, l'elettorato, ad assegnarla all'esecutivo il che non sarebbe costituzionale.


Nel frattempo la maggioranza rosso-gialla ha mandato un segnale alla Corte depositando una bozza di riforma elettorale proporzionale sia pure con sbarramento al 5%: il Germanicum. Un segnale per sottolineare che le leggi elettorali le fa il Parlamento e che il referendum renderebbe più impervia questa strada.
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Il Messaggero