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Le manovre sono in corso da tempo e i candidati scalpitano. A muoversi, esplicitamente o meno, sono soprattutto coloro che, carta d'identità alla mano, difficilmente possono avere un'altra occasione per tentare la strada del Quirinale. Chi sull'argomento ha l'atteggiamento più disincantato è proprio quello che l'ex Udc Marco Follini definisce «il candidato naturale al Colle»: Mario Draghi. La statura internazionale e la credibilità di cui gode anche a casa nostra l'attuale presidente del Consiglio è fuori discussione e, sostiene la senatrice Paola Binetti, «dopo il G20 non si può avere nessuna remora».
IL SAGGIO
Gli attestati di stima piovono sulla testa dell'ex banchiere centrale tutti i giorni. Matteo Salvini e Giuseppe Conte, con modalità diverse, hanno ribadito il loro sostegno a Draghi dicendo anche che comunque non si andrà al voto. Ma se per il leader della Lega la prosecuzione della legislatura - dopo l'elezione del presidente del Consiglio al Quirinale - è solo un'ipotesi che affida a Bruno Vespa («non credo ci sarebbero elezioni anticipate»), il leader del M5S è più assertivo («non dobbiamo pensare che il voto sia automatico», «non c'è fretta di andare a votare»).
Dichiarazioni che hanno come obiettivo quello di saggiare la reazione dei rispettivi gruppi parlamentari.
In difficoltà nella partita del Colle, è la leadership di Silvio Berlusconi. Il Cavaliere ha chiamato a raccolta tutto il centrodestra sul suo nome. Spera di farcela dal terzo scrutinio anche se FI ha perso moltissimi eletti e il partito è lacerato tra l'ala governista e quella più legata ad un centrodestra a trazione salviniana. Il tentativo di eleggere il Cavaliere al Colle non sembra avere molte chance anche perché ha il difetto di far saltare immediatamente il governo e la legislatura. Accadrebbe - a parti invertite - più o meno lo stesso se il Pd riuscisse stavolta a far eleggere Romano Prodi. Tra i dem le spaccature sono evidenti e più o meno celate dalla partecipazione al governo dei big delle varie correnti, ma il voto sul ddl Zan conferma che il voto segreto è una brutta bestia anche per il Nazareno. Oltretutto ad Enrico Letta, da tempo silente sul tema, non dispiacerebbe votare lo stesso nome con il M5S.
Conte ha però a che fare con un MoVimento che va da tempo in ordine sparso, ma che si ricompatta nell'obiettivo di voler completare a tutti i costi la legislatura. Infatti la prossima - un po' per la riduzione dei posti, un po' per percentuali non eccezionali - riserverà ai Cinquestelle molte meno gioie del 2018. Agli uscenti - soprattutto a coloro che sono al secondo mandato - non basterebbero generiche promesse ed è molto probabile che, prima di votare qualunque nome - Draghi in testa - vorranno avere certezze sull'eventuale nuovo inquilino di Palazzo Chigi e sulla maggioranza che permetterà di arrivare sino alla fine della legislatura.
Tutto ciò presuppone che Draghi abbia voglia di esporsi, a ridosso magari della terza votazione, con una sorta di auto-candidatura e con tanto di rassicurazioni sul dopo. Ovvero che, una volta arrivato al Quirinale, farà di tutto per evitare il voto anticipato, favorendo la nascita di un governo sempre nel pieno rispetto del mandato costituzionale.
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Il Messaggero