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Politica

Migranti, la Corte Ue boccia il modello Albania: rimpatri solo con il via libera di un giudice

Per le toghe del Lussemburgo, la valutazione sui Paesi sicuri va sottoposta al controllo dei giudici. Palazzo Chigi: ora anticipare le nuove norme europee

La vita nei giorni scorsi a bordo di Humanity 1, della ong 'Sos Humanity', prima dell'approdo di ieri sera nel porto di Catania. ANSA/MAX CAVALLARI-SOS HUMANITY +++EDITORIAL USE ONLY+++ +++CREDIT OBBLIGATORIO+++

di Andrea Bulleri

sabato 2 agosto 2025 Ultimo aggiornamento 11:17

Un altro stop. Che assesta un nuovo colpo – anche se dagli effetti concreti apparentemente limitati – alla strategia del governo sui migranti. E in particolare al modello Albania, e alla...
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Un altro stop. Che assesta un nuovo colpo – anche se dagli effetti concreti apparentemente limitati – alla strategia del governo sui migranti. E in particolare al modello Albania, e alla lista dei Paesi considerati «sicuri» verso cui rimpatriare con procedure accelerate chi entra illegalmente nel territorio italiano. È la Corte di giustizia europea a firmare una decisione che «sorprende» Palazzo Chigi. E che manda su tutte le furie il governo, per il quale il verdetto «indebolisce le politiche di contrasto all'immigrazione illegale di massa». Con la pronuncia arrivata ieri mattina, infatti, i giudici di Lussemburgo hanno stabilito che l’ultima parola, per decidere se un Paese possa essere considerato sicuro oppure no (e dunque se verso quel Paese si possano effettuare i rimpatri “accelerati”) spetta comunque a un magistrato. Non basta, insomma, che un governo lo consideri tale, come aveva fatto l’esecutivo con un decreto ad hoc lo scorso ottobre, per provare a salvare il protocollo Italia-Albania e i due centri per i rimpatri di Shengjin e Gjader. «La designazione di Paesi terzi come Paesi di origine sicuri deve essere suscettibile di una revisione efficace da parte del giudice», scrivono i togati Ue. I governi, dunque, possono sì «designare Paesi d'origine sicuri mediante atto legislativo», ma solo «a patto che tale designazione possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo».

Braccio di ferro - Un braccio di ferro che nei mesi scorsi aveva fatto alzare di parecchio la temperatura dello scontro tra politica e giudici. Con più di un tribunale che si era rifiutato di convalidare i trattenimenti nei centri albanesi, considerando non sicuri (almeno non per tutti i migranti) Stati come il Bangladesh e l’Egitto, e il governo che accusava le toghe di invasione di campo. Uno scontro duro, al quale era seguita la lista stilata dall’esecutivo che aveva così provato a risolvere la questione. Invece, ecco il ricorso del tribunale di Roma alla corte europea, per dirimere un punto centrale: chi deve decidere, nel merito, sulla sicurezza o meno del Paese in questione? La risposta non è quella che si era augurata Giorgia Meloni.

Ed ecco che la premier, da Istanbul, fa vergare una nota al veleno. Nella quale Palazzo Chigi accusa la corte di rivendicare «spazi che non le competono a fronte di responsabilità che sono politiche». Un verdetto che consegna «a un qualsivoglia giudice nazionale la decisione non sui singoli casi, bensì sulla parte della politica migratoria relativa alla disciplina dei rimpatri e delle espulsioni degli irregolari». E che quindi «dovrebbe preoccupare tutti», comprese le opposizioni che «oggi esultano per la sentenza», perché «riduce ulteriormente i già ristretti margini di autonomia» degli Stati nazionali nel contrasto all’immigrazione.

Un’ira, quella di Meloni, motivata più dallo smacco politico (anzi da quella che i Fratelli d’Italia ritengono una decisione «pericolosa» e un «precedente gravissimo») che non dalle reali conseguenze sui centri albanesi. Che erano già stati trasformati in normali Cpr nei mesi scorsi, dopo i ripetuti stop dei giudici, e che – precisano fonti di Palazzo Chigi – «continueranno a operare come tali». L’obiettivo di Roma, ora, è quello di anticipare l’entrata in vigore del nuovo Patto per la migrazione e l’asilo Ue, che di fatto aprirà un ombrello europeo sul protocollo albanese.

Per ora però c’è da incassare il colpo di una sentenza «scandalosa, vergognosa, imbarazzante», come la definisce Matteo Salvini. Per il leghista, il verdetto «cancella la sovranità nazionale è l'ennesima dimostrazione di un'Europa che non funziona». Mentre l’altro vicepremier, Antonio Tajani, prova a guardare il bicchiere mezzo pieno sul verdetto: «Non mi convince per nulla, ma avrà effetti molto brevi» che cesseranno «con l'entrata in vigore delle nuove norme». Duro il Guardasigilli Carlo Nordio, che tira una sferzata alle toghe: «Il giudice, dice la Corte, deve accertarsi dell'affidabilità delle informazioni dalle quali deriva il suo convincimento» sul Paese sicuro «e darne adeguata motivazione. Non sembra che questo sia sempre avvenuto». Mentre Matteo Piantedosi conferma che il governo andrà avanti: «Siamo convinti di essere nel giusto». Un errore «subordinare il potere politico a un giudice».

Dall’altra parte, l’Associazione nazionale magistrati rivendica invece «la correttezza dell’interpretazione fornita dai giudici italiani». Mentre gongolano, compatte, le opposizioni. Sentenza «prevedibile», per il presidente M5S Giuseppe Conte. E se Matteo Renzi chiede a Meloni di «fermarsi», Elly Schlein va all’attacco: «Hanno sprecato un miliardo in un’operazione cinica e illegale», scandisce. Poi fa il verso alla premier: «I centri albanesi? Non fun-zio-ne-ran-no!».

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Messaggero

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