OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Non devono trarre in inganno i toni morbidi scelti da Mario Draghi. Quando dice, dopo averli strigliati appena ventiquattr’ore prima, «avete visto che bravi ministri che ho?! È un governo bellissimo», il premier punta a ricompattare e a motivare la sua squadra uscita malconcia dalla sfuriata di giovedì. Ma l’avvertimento lanciato ai partiti, dopo aver visto il governo bocciato per ben quattro volte in Commissione, resta agli atti. È scolpito sulla pietra: «Se il governo voluto da Mattarella non riesce a fare le cose, io non ci sto. Non sono qui a scaldare la sedia o per tirare a campare». Tant’è, che un’autorevole fonte di governo certifica: «Quello del Presidente non è stato un “al lupo al lupo”. Se ancora una volta verrà bocciato in Parlamento un provvedimento votato all’unanimità dal Consiglio dei ministri, Draghi prenderà, salirà al Quirinale, saluterà e se ne andrà. Ha 74 anni, tanta storia alle spalle, non è tipo da farsi prendere in giro».
Ecco perché il premier, in conferenza stampa, parla di «barra dritta», della necessità di «conseguire i risultati» e sottolinea quanto importante sia «rispettarsi». Per poi lanciare un avvertimento: «La delega fiscale è stata approvata all’unanimità, difficile possa essere cambiata». Draghi, insomma, non ha alcuna intenzione di vedere i provvedimenti essenziali per incassare i miliardi del Pnrr, come la legge sulla concorrenza e appunto la riforma del fisco, bocciati o bloccati in Parlamento. In più, la sua apertura a un «cambio di metodo» nel confronto è più tattica che di sostanza. «Perché», dice una fonte vicina al premier, «sulla delega fiscale, solo per fare un esempio, abbiamo fatto almeno quattro riunioni al Mef e due o tre a palazzo Chigi. È stato cercato tutto il consenso possibile. Ma quella delega è ancora ferma in Commissione. Dunque non è una questione di metodo parlamentare, è una questione politica». Per dirla con Draghi: «Il governo e io abbiamo sempre offerto la massima disponibilità». Invece le forze politiche, Lega e 5Stelle in primis, fin qui spesso si sono messe di traverso.
NIENTE SUMMIT
Ciò non dovrà più accadere, pena la crisi.
IL PERICOLOSO CRINALE
Le pulsioni elettorali sono però più forti della ragione. Ed è nel Dna di Salvini giocare a tirare la corda. Perciò l’epilogo probabile è che i provvedimenti varati dal governo verranno votati dal Parlamento per evitare la crisi e le elezioni. Con Draghi che dovrà però continuare a sopportare le sparate propagandistiche, soprattutto della Lega e dei 5Stelle. Una partita giocata su un crinale pericoloso. Dunque, se dovesse accadere un altro incidente, se dovesse verificarsi un casus belli, il premier prenderà e salirà sul Colle per dimettersi. Senza ulteriori avvertimenti. Questo, almeno, dice chi lo conosce molto bene.
Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero