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Altro che ripensamenti e cavilli da azzeccagarbugli. Non ritratta Giorgia Meloni. Macché, raddoppia: sul Mes, il fondo salva-Stati dell’Ue, il governo di Giuseppe Conte «ha agito con il favore delle tenebre» e «senza il mandato del Parlamento».
L’AUDIZIONE
Montecitorio, secondo piano. Dribbla i cronisti appostati nei corridoi la premier ed entra così nella biblioteca del presidente, accompagnata dall’inseparabile segretaria Patrizia Scurti. È il giorno del Giurì d’onore: la commissione parlamentare presieduta dal forzista Giorgio Mulè che l’ex premier Conte ha convocato per rispondere alle “accuse” ricevute al Senato dall’attuale timoniera di Palazzo Chigi. Chi ha ragione? Conte ha davvero agito nell’ombra quando ha autorizzato il governo rossogiallo a ratificare il Mes pochi giorni prima che cadesse? Ne è convinta Meloni e lo ripete ai giurati in un’agguerritissima audizione di un’ora. Lui, l’avvocato e leader dei Cinque Stelle si è presentato il giorno prima con una pila di carte.
Lei no: si difende con gli “appunti di Giorgia”, foglietti scritti a mano e in corsivo. E torna a battere sulla tesi difesa lo scorso 12 dicembre al Senato: tre anni fa in Parlamento non esisteva una chiara maggioranza a favore del Mes. Ergo la richiesta di Conte e dell’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio di firmare il trattato è stata fatta «senza un mandato parlamentare». È passato un mese da quando il centrodestra al governo ha affossato alla Camera la ratifica del Mes spiazzando i partner a Bruxelles. E chissà se è un caso che proprio ieri, mentre Meloni difendeva al giurì la bontà di quella scelta, la Commissione europea è tornata a bacchettare la manovra italiana. «L’Italia non è in linea con le nostre raccomandazioni», l’affondo dal forum di Davos del vicepresidente Valdis Dombrovskis, il più “falco” tra i commissari.
Una sonora bocciatura? Non la vedono così al Mef: in serata il ministero di Giancarlo Giorgetti cerca di spegnere il clamore e spiega come «le parole del commissario Dombrovskis ripetono il giudizio espresso dalla commissione europea il 21 novembre scorso sul documento programmatico (DPB) dell’Italia per il 2024».
LA DIFESA
Un lavoro certosino preparato nei giorni scorsi con i sottosegretari Fazzolari e Mantovano. Dunque, ecco la ricostruzione fornita. Punto primo: il fax scritto da Di Maio il 20 gennaio 2021, quando il ministro chiese all’ambasciatore in Ue Maurizio Massari di ratificare il trattato, è stato inviato mentre a Roma si era già aperta la crisi di governo. E se le dimissioni dell’esecutivo sono arrivate il 26 gennaio - e non prima, come ha sostenuto Meloni al Senato a dicembre sventolando il fax incriminato - tanto più «inopportuna» è stata la firma apposta da Massari il 27 gennaio, con il governo dimissionario, per approvare il trattato che modificava il Mes. Tutto questo, rincara Meloni, mentre in Parlamento non esisteva una vera maggioranza: in aula era già partita la caccia ai “responsabili” (Ciampolillo&Co), un momento «di imbarazzo» per il Paese.
Ci vorrà tempo prima che il Giurì si esprima: si chiuderà il 9 febbraio questo strano duello della memoria tra Meloni e Conte. Un primo assaggio, ma a porte chiuse, di quella campagna elettorale per le Europee che la leader di FdI è tentata di condurre in prima persona. Concentrando però sulla vera rivale, la segretaria del Pd Elly Schlein, la sfida in piazza e tv. Senza troppe carte e scartoffie.
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